Con "Nevermind" i Nirvana rendono definitivamente popolare il grunge, senza che ne venga compromesso lo spessore della loro musica, che deriva in parte (ed è già una bella garanzia) dall’essere nata come musica “di nicchia”, espressione che nel contesto grunge evoca invariabilmente scantinati, birre, sintetizzatori scassati e altri “peccati di gioventù” lunatica americana.
Verrebbe da chiedersi come abbiano fatto quei ragazzuoli di Seattle e dintorni a generare una simile ondata musicale di disagio per i tempi presenti, vivendo in un posto tranquillo come la cittadina nordamericana. La risposta non può che venire dall’ascolto dell’album, di cui tutto si può dire tranne che sia “solo” un album grunge. Esso è piuttosto la riuscita mescolanza di rock, punk, blues, il tutto attraversato da sfumature pop che rendono orecchiabili le sonorità strillate e monotone del punk, correggono gli sfoghi batteristici del rock, sollevano le a volte disperate tonalità del blues.
“Smells like teen spirit” apre le danze in maniera consona allo spirito di "Bleach", l’album d’esordio, sebbene si noti già il distacco dalla ruvidezza del precedente lavoro. Intendiamoci, c’è ancora la potenza acustica delle chitarre, ci sono le urla da gola rossa, ma solo dopo una ventina di secondi. All’inizio, dal punto di vista vocale, Kurt appare timido, tenta di impostare un approccio melodico, per poi incantare l’ascoltatore con un mantra ipnotico, che spiana la via alle urla e alle chitarre ruggenti. Da lì è l’instaurarsi di un piccolo ciclo, che oserei definire “quasi sinfonico”, determinato dal ripetersi della successione: voce tenue-mantra-sfogo di chitarre e voce, in un crescendo che diviene titanico e disperato alla fine. “In bloom” si apre col battito militaresco, e tuttavia in qualche modo liberatorio, delle chitarre: ma è solo l’inizio. L’ intero pezzo possiede un che di liberatorio, che l’assolo iniziale delle chitarre non fa che anticipare. Subito dopo le chitarre diventano cupe, come a voler dire che l’anticipata liberazione debba attendere la fine della lotta, una lotta interiore ma non per questo meno impegnativa. La voce di Kurt tocca toni bassi, come di confessione, che pian piano si innalzano, fino a toccare il vertice nel ritornello, lo strepito di un peccatore assolto e felice, che tuttavia ricorda il passato con un pizzico di rimpianto.
“Come as you are” è la canzone trainante, più inconsciamente pop delle altre. All’inizio è solo il basso ad accompagnare Kurt, che stavolta cerca toni più alti del solito, melodici, come rivolgendosi all’ascoltatore e cercando di trarlo dalla sua parte: vuole proporgli un viaggio, un viaggio attraverso lo spirito. Kurt sa che durante il viaggio vi saranno delle difficoltà, degli inconvenienti, delle incomprensioni, ma tutto potrà essere superato grazie alla sincerità cui egli invita nel ritornello. “Breed” è decisamente un pezzo orientato verso il punk, ciò che traspare sin dalle prime battute: rullo di tamburi, ritmo ossessivo, voce ripetitiva e cupa. Ma come dicevamo, la monotonia del punk è temperata da influenze pop, che rendono il pezzo aperto ad occasionali fughe nei toni dolci e alti, per poi ricadere nella ricerca dei semitoni e delle tonalità minori. “Lithium” è la canzone più pop dell’intero album, un inno filosofeggiante alla pazzia e alla bruttezza, nella consapevolezza di essere dei mediocri. L’inizio, musicalmente parlando, assomiglia ad una rassegnata ma in parte incosciente constatazione del proprio stato, che suscita una violenta quanto improvvisa ed allegra esultanza, fatta di grida vocali e di chitarre. “Polly” è una sorta di serenata grunge, che Kurt rivolge ad una donna, Polly, cogliendola nell’atto di chiedere un cracker.
“Territorial pissings” ricorda, nell’approccio, la prima canzone dell’album: voce moderata, ma comunque più forte che in “Smells like teen spirit”, all’inizio. Dopo, urla a squarciagola e disperate su un ritmo molto rapido, che si concludono con l’ apparente perdita di voce da parte di Kurt. “Drain you” inizia semplicemente, con voce e chitarra moderate, ma mentre la prima rimane tale e anzi esplora le tonalità alte, sebbene minori, la seconda diventa più forte, si raddoppia, finche voce e chitarra non lasciano spazio alla sola batteria, in un crescendo che si conclude ancora con le chitarre e con la voce di Kurt, arrochita dal canto e accompagnata da una seconda, quasi impercettibile, di supporto. In “Lounge act” risultano manifeste le influenze rock, nel ritmo e nella modulazione delle chitarre, con l’immancabile urlata finale. “Stay away” si apre con batteria e basso perfettamente allineati nello scandire l’andamento concitato del pezzo, su cui si innesta la voce del cantante, a tratti contenuta, a tratti spasmodica, nell’ordinare all’ascoltatore di “stare lontano”. “On a plain” è un pezzo nel quale si alternano perfettamente, come spesso accade ai Nirvana, cambi di tonalità in corso di battuta: battute altrimenti identiche negli intervalli, differiscono a causa di improvvisi innalzamenti o abbassamenti di tonalità.
“Something in the way” è una lunga, epica ballata autenticamente grunge, forse alla maniera dei Doors, coi quali, anche a causa di pezzi come questo, molti non hanno tralasciato di sottolineare le affinità.
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