Un disco tutto da riscoprire per il bravissimo polistrumentista con origini inglesi e indiane, che agli albori del nuovo millennio (siamo nel 2001) raccontava le angosce per una società allegramente allo sbando in un vero e proprio concept album. Prophesy è un disco che accusa apertamente gli effetti collaterali della tecnologia nelle nostre esistenze, ma curiosamente fa largo utilizzo di risorse tecnologiche per esprimersi, un paradosso che in un certo senso ne definisce il fascino. In pieno stile dell'artista, assistiamo a una commistione scatenata di generi, che attingono dalla cultura musicale indiana fino al trip-hop, passando anche dal flamenco (!). Non ci sono barriere culturali né stilistiche nell'universo di Nitin Sawhney e il disco, nonostante gli anni, risulta sempre fresco, innovativo e anni luce dagli album di musica elettronica odierni.

L'album si apre con le atmosfere soul di Sunset, beat sostenuto, chorus esotico, archi e tablas accennate definiscono l'approccio fusion del disco e un brano sostanzialmente pop e sofisticato, molto piacevole, laddove Nothing crea un po' di ombra citando apertamente i Massive Attack, siamo infatti nel territorio del trip-hop, con un richiamo ancora più stretto a Teardrop. il brano però riesce a essere sufficientemente originale da avere una sua precisa personalità, verrà anche ripreso successivamente nel disco. Acquired Dreams è dove Nitin comincia a fare sul serio, abbadnonando il cantato l'artista si abbandona a uno strumentale che è un vero e proprio viaggio. I cori sono limitati a qualche sample vocale, mentre l'arrangiamento sposa le atmosfere della musica indiana con ritmiche variabili; il brano sfocia rapidamente in un'architettura quasi jungle, dopo un climax mozzafiato di archi e flauti assistiamo a una ulteriore mutazione, con un assolo di basso che sembra semplicemente arrivare da un altro album, sicuramente una delle parti migliori di Prophesy. Moonrise continua con le sorprese, portandoci nel territorio del flamenco e la suadente voce di Nina Miranda degli Smoke City, siamo probabilmente all'apice di fusioni stilistiche che l'album ha il coraggio di accostare.

Street Guru Part 1 e 2 sono sorprendenti esperimenti di Sawhney funzionali alla natura di concept del disco, si tratta di due estratti vocali, sembrerebbe registrati durante un dialogo tra Sawhney e un tassista, estremamente suggestivi. La voce narrante si rivolge all'ascoltatore ponendo in esame l'ossessione per la tecnolgia, la produttività, l'impazienza e un crescente aumento della maleducazione, tutti argomenti di scottante attualità, e terminando con l'inquietante prospettiva di una rivolta contro la tecnologia. Il titolo non poteva essere più azzeccato. Breathing Light è uno dei brani più conosciuti di Sawhney, che in questo caso ha più valore di singolo per attirare l'ascolto del disco, ma risulta tutto sommato coerente: la voce di Nelson Mandela introduce atmosfere sognanti, con una linea di pianoforte che rappresenta una vera e propria ossatura, ripetuta nel corso del brano con archi, flauti e ritmiche jungle-drum and bass. Ripping Out Tears si concede addirittura all'hip hop ed è il momento più duro, con linee vocali abrasive contro il sogno americano, curiosa la scelta di una vocalist femmina per interpretare un brano che forse non sfigurerebbe nella playlist dei Public Enemy. Forse questo è l'episodio meno convincente del disco, che sembra muoversi con maggiore disinvoltura quando affronta atmosfere sofisticate e melodiche, ma è encomiabile il desiderio e il coraggio di inoltrarsi in territori più difficili.

In definitva un disco che consiglio caldamente, affascinante e attuale nonostante gli anni passati dalla pubblicazione, sicuramente un importante tassello per comprendere la bravura di questo musicista.

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