[Contiene anticipazioni della trama]
In un primo momento ho temuto che questa serie tv di FX scritta da Noah Hawley e prodotta anche dai fratelli Coen fosse troppo simile al grande film del 1996. La sensazione è rimasta per una buona parte del primo episodio, The Crocodile’s Dilemma, che vede alcuni elementi palesemente in comune col film: associare Lester Nygaard a Jerry Lundegaard è infatti un’operazione automatica, così come Molly a Marge; i dialoghi cruenti durante i pasti sono stilema comune ai coniugi Gunderson (1996) e a quelli Thurman (2014). Elemento di profonda continuità tra le due opere è poi l’incontro di un uomo mediocre (Lester/Jerry) con la violenza e la sua progressiva corruzione morale. Se a questo aggiungiamo i due sicari Mr. Numbers e Mr. Wrench che assomigliano in qualche modo ai mitici Buscemi – Stormare, possiamo capire quanto fosse rischiosa tutta quanta l’operazione.
In questo senso il lavoro di Noah Hawley è qualcosa di monumentale: una serie tv come Fargo deve la sua grandezza in primo luogo a chi ne ha steso la sceneggiatura, anche se non mancano numerosi preziosismi di regia. Non saprei nemmeno da dove cominciare … La cosa che mi ha stupito di più è senz’altro la capacità di giustapporre tonalità differenti e quasi antitetiche: il fatto che molti momenti siano caratterizzati dal grottesco, dal tragicomico, dallo straniante, non impedisce a Fargo di accendersi in momenti veramente tragici (quando si insiste nel mostrare il sangue delle vittime) oppure gag che rientrano propriamente nel comico puro (ad esempio Mr. Numbers e Mr. Wrench che comunicano). Era infatti impensabile tenere il livello di deformazione grottesca del film per ben 10 episodi; sarebbero risultati troppo pesanti.
Un fattore che concorre a creare questo puzzle emotivo – stilistico è la scrittura perfetta dei personaggi: non abbiamo in realtà figure veramente complesse, ogni individuo ha una funzione principale, come le maschere di una commedia, ma i pochi fondamentali tratti di ognuno sono resi con incredibile maestria. Non c’è un personaggio di cui non abbiamo ben compreso la cifra umana essenziale, anche quelli meno importanti sono tratteggiati con grande efficacia. Penso al padre di Molly, ai due agenti FBI, alla moglie di Sam Hess: anche i profili più marginali nella trama si imprimono nella memoria dello spettatore per le loro deformazioni o i rari, rarissimi pregi. Avere un mondo grottesco ed esasperato da raccontare aiuta molto a trovare elementi memorabili da applicare ai vari individui.
Ci colleghiamo qui ad uno dei temi portanti della serie: in Fargo abbiamo quasi solo personaggi che per un motivo o per l’altro possono definirsi negativi. La qualità del lavoro di Hawley consiste nel disegnarli con caratteristiche diverse ogni volta: abbiamo inetti buoni, inetti cattivi, persone geniali buone (Molly) e persone geniali cattive (Malvo). La stragrande maggioranza dei personaggi è afflitta da enormi difetti; c’è chi come Gus non compie il suo dovere per troppo amore verso la figlia, c’è chi come Lester si fa mettere i piedi in testa da moglie, fratello, ex compagni di scuola; c’è chi è sceriffo ma non ha voglia di lavorare ed è pieno di pregiudizi come Bill Oswalt (Bob Odenkirk), ci sono i due sgherri-orchi, capaci ma fino a un certo punto, i due agenti dell’FBI che non ne fanno una giusta. La lista di personaggi meschini è interminabile: Chaz Nygaard, Linda Park, Stavros Milos, Don Chumph, Pearl Nygaard.
In questo scenario sconfortante i pochi individui con un cervello svettano nitidamente: abbiamo il vero protagonista e motore della vicenda, Lorne Malvo, e l’unica forza del bene che è Molly; ci sarebbe stato anche lo sceriffo Vern, ma venuto meno lui, Molly si trova a dover lottare da sola (o quasi, vista la crescita di Gus) contro Malvo ma soprattutto contro l’ostinazione del neo-sceriffo Oswalt. È nascosto qui uno dei messaggi più profondi di Fargo: le persone devono lottare contro la loro stessa stupidità e contro quella dei loro vicini, prima che contro le forze del male.
Le sequenze in cui Malvo compie le sue stragi evidenziano la facilità con cui riesce a compierle: egli è una mente straordinaria, capace di fingere e reinventare le sue strategie. La sua intelligenza è così fertile che saranno le sue stesse parole a servire da lezione ai due inetti Lester e Gus: l’episodio 10. Morton’s Fork è esemplare non tanto per la fine di Malvo, quanto piuttosto perché ci fa vedere che Lester e Gus hanno imparato la lezione, ma in due modi diversi.
Entrambi hanno saggiato la portata nefasta del male, ma Lester è consumato internamente dal senso di colpa e quindi sviluppa un’intelligenza maliziosa, disumana: lo vediamo che sacrifica senza problemi la nuova moglie Linda (in precedenza aveva già fatto incolpare il fratello) e tende a Malvo una trappola micidiale utilizzando una tagliola. La sua furbizia malvagia non può però avere la meglio e quindi sarà egli stesso a condannarsi, correndo sul ghiaccio sottile (metafora di tutta la sua storia). La capacità di manovrare furbescamente è segnalata nel momento in cui risolve l’indovinello della volpe, il coniglio e il cavolo, che l’agente FBI invece non sa proprio sbrogliare.
Al contrario la crescita di Gus è pura, priva di macchia; anch’egli giunge a contatto con il male ma rimanendo sempre immacolato. Comprende le meccaniche che muovono il demoniaco Malvo senza però farle proprie: diventa come un animale che per sfuggire i predatori ne impara le strategie. Questa svolta è illustrata dal dialogo finale con Malvo: Gus ha capito perché l’uomo vede così tante tonalità di verde, per sfuggire ai predatori come quello che ha di fronte. Anche lui ora ha imparato a muoversi in questo scenario minaccioso.
Per dipingere così tanti ritratti e al contempo portare avanti una trama ricca di digressioni lo sceneggiatore ha lavorato magnificamente per non sprecare nemmeno 1 minuto di pellicola: questo è permesso dalla costruzione essenziale (a tratti infatti un po’ scheletrica) dei personaggi e tutto sommato da una trama che sembra essere a rompicapo ma lo è solo in apparenza. I fatti essenziali non sono moltissimi, ma sono continuamente studiati e analizzati da tutti i personaggi, o per cercare di risolvere il dilemma o per cercare di insabbiarlo definitivamente.
O meglio, sarebbe una caso rompicapo irrisolvibile se non intervenisse, come nei film dei Coen, l’arbitrarietà del caso che aiuta i filoni della storia a riavvicinarsi proprio quando sembrano partire per la tangente. Non possiamo non pensare alle due volte in cui Gus incrocia Malvo, a Molly che parla proprio con lo stesso Gus alla centrale di polizia. Tutta la vicenda in realtà scaturisce da un incontro fortuito tra Lester e Malvo in ospedale; la lunga serie di omicidi è dovuta alla scelta gratuita di Malvo di vendicare il sopruso di Sam Hess ai danni di Lester, nessuno gli aveva chiesto niente.
Per circa 8 episodi domina una dimensione grottesca e straniante; abbiamo un cambio deciso dal momento in cui vediamo trascorrere un anno e ritroviamo Molly incinta. Negli ultimi due episodi il filtro deformante viene tolto e possiamo saggiare tutta l’asprezza tragica della vicenda: in questo frangente il padre di Molly, uomo della massima serietà e onore, assume un ruolo più importante, mentre lo sceriffo smette di intralciare le operazioni di Molly ed anzi le annuncia che sarà lei il nuovo sceriffo. Lo spettatore in questi momenti si trova ad essere preoccupato per la sorte di Gus e famiglia: ora che lui e Molly si sono sposati e la donna è incinta, sentiamo empatia verso una fazione tra quelle in scena.
Nei primi 8 episodi invece l’occhio della cinepresa non privilegiava una lettura sulle altre: Lester pur colpevole non era ancora condannato, Molly intelligente non era necessariamente simpatica, Malvo senza morale ma oggettivamente geniale. Gli ultimi due episodi tornano ad una visione più classica ed emotiva delle cose e ci troviamo quindi a tifare per Molly e Gus contro l’infame Malvo e l’apprendista delinquente Lester.
A questa ricchezza della sceneggiatura va aggiunta la splendida regia di alcuni episodi: penso in primo luogo a 7. Who Shaves the Barber?, quando Malvo massacra tutta la mafia di Fargo in una sequenza in cui non vediamo nulla, dato che la cinepresa segue i movimenti del truce uomo dall’esterno del palazzo. I suoni e i dialoghi sono sufficienti a rendere l’idea del bagno di sangue.
Molto bella anche la sequenza nella tormenta di neve di 6. Buridan’s Ass, ma resta indimenticabile quella di 9. A Fox, a Rabbit, and a Cabbage quando Malvo si trova al bar del padre di Molly mentre la donna sta tornando lì: tutto lascia prevedere un tragico incontro tra i due ma si tratta di un montaggio tendenzioso per scatenare le nostre paure: l’incontro sarà solo sfiorato.
La scelta di non usare una sigla iniziale ma puntare sulla variazione con dettagli sempre un po’ stranianti e semanticamente distanti è funzionale a non consolidare l’idea di serialità quanto piuttosto la sensazione che si tratti di un unico, magnifico film di 10 ore.
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