"Nettare, capitolo primo: 12 lune, una manciata di sogni", penultimo disco dei tedeschi Nocte Obducta si muove lungo coordinate sconosciute al metal estremo; un percorso sonoro che è imprescindibile da quello visivo che si viene a creare nella mente dell'ascoltatore, dipingendo un percorso che è prima di tutto personale, intimo, costruito durante i minuti che scorrono.
Infatti il gruppo si è sempre dichiarato estraneo ad ogni contenuto satanista, prediligendo un livello di scrittura più alto, che mira ad indagare l'interiorità, cercando metafore, simboli, appunti di un viaggio di esplorazione del sé.
Avviene però che le liriche siano lasciate in lingua madre, permettendo ad ognuno di immedesimarsi come meglio preferisce nell'esperienza in atto. Il tutto si carica di ulteriori valori simbolici, inerenti al tema del viaggio personale: il disco è un concept sullo scorrere delle stagioni, ad ognuna delle quali è dedicata una grande suite. Il gruppo vuole quindi che il punto di partenza sia comune, stabilito il tema, lo spunto della recita: da qui in poi però è la fantasia creatrice di chi ascolta a creare le vicende da calare in questo contesto cronologicamente definito.
Primavera (Frahling) è il momento più suggestivo dell'esperienza. Il brano si alterna secondo la formula tipica dei Nocte Obducta, tra momenti metallici e stacchi più calmi e rilassati. Il cuore del brano è formato dal placido ritmo di un tamburello a mano, rumori creati dai piatti e tastiere: si percepisce il lento risvegliarsi dello spirito della natura, che come ogni anno, dopo la fine dell'inverno, torna a pulsare: questo martellante tamburello richiama la gioconda multiformità delle creature della foresta, dal coniglio bianco al satiro danzante.
Il ritmo si increspa: limpidi accordi di chitarra iniziano ad increspare la superficie di laghetti: il cambiamento non avviene nella natura, bensì nell'uomo: lo screaming maledetto e le tastiere ora riportano alla dimensione umana. La natura sorge e l'uomo cade; si avverte qualcosa di agghiacciante in questo cinismo della vita, che ciclicamente torna a sbocciare, assolutamente incurante dell'umanità, che deve adattarsi di stagone in stagione, cambiando maschera per rimanere al passo con i tempi.
"Nektar: Teil 1" piacerà sicuramente a quanti sono soliti apprezzare i mie scritti senza però avere molto in comune con i gruppi trattati. Trovo molto difficile definire lo stile del gruppo, dato che mancano precisi richiami alla realtà circostante: il disco, pur uscito pochi anni fa, venne composto nella prima parte degli anni '90, evidentemente in anticipo di una decina di anni. Infatti per certi versi i NO sono tra i precursori e massimi esponenti del connubio tra Black e Death Metal da molti definito Post-Black; a ben vedere la ricchezza delle influenze e delle sonorità sbandierate dal gruppo fa propendere per la definizione più vaga ma accattivante di Black d'Avanguardia.
Se devo pensare a dei gruppi che possano far luce su questo particolare stile devo per forza citare dischi come quelli degli Arcturus, con i quali condividono l'estro e la tecnica sopraffina (più evidente nei tedeschi), e - perché no? - con "Holy Land" degli Angra, affresco multicolore capace di spaziare tra le soluzioni più diverse per ricreare diverse sensazioni, modi di concepire la musica. Il resto del disco prosegue su binari paralleli adottando di volta in volta stratagemmi diversi; il brano autunnale (di otto minuti, il più breve) ricalca le atmosfere di quello primaverile, aggiungendo un pizzico di colore in più, quello che la vita perde man mano che l'inverno si avvicina. Questi due brani sono i più metallici, ricchi di spunti epici, in cui le chitarre duellano tra loro tra riff intricati: i NO mostrano che è possibile suonare Black Metal in un modo differentissimo dallo stile norvegese senza perdere in efficacia, bellezza, classe (cosa che non erano riusciti a fare gli stessi nordici una volta passati a questo stile più moderno).
Restano poi i due pezzi a cui viene affidata la descrizione dell'Estate e dell'Inverno. Volutamente spenderò poche parole, lasciando presagire da una parte la bellezza di questi, dall'altra la difficoltà di esporre a parole tanta grandezza. I ricami chitarristici ed il black sinfonico fanno della suite invernale un pezzo classico ma immenso; i cambi di tempo segnano la torrida estate, dove trovano spazio anche lunghe piogge ristoratrici, guidate dal fluire di un giro davvero malinconico di solista.
Non mi stupisco di essermi dimenticato il nome dell'ultimo dei Dimmu Borgir.....
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