Suonare un'esplosiva miscela di rock'n'roll, blues, surf, psichedelia e punk, nei primissimi anni ottanta e per di più in Italia, in un panorama dominato dalla grigia ed intellettuale wave di Litfiba e Diaframma, è cosa fuori dal comune.
Ed infatti, tali sono i Not Moving, gruppo piacentino in cui militano due reduci del primevo hardcore italico - Antonio "Tony Face" Bacciocchi dai Chelsea Hotel (batteria) e Domenico "Dome La Muerte" Petrosino dai Cheetah Chrome Motherfuckers (chitarra) - oltre a Rita "Lilith" Oberti (voce), Danilo "Dany D." Dalla Giovanna (basso) e Mariella "Maria Severine" Rocchetta (tastiere).
Gruppo tra i più grandi che abbiano mai calcato il suolo patrio, purtroppo i Not Moving sono stati anche tra i più sfortunati, visto che una sorte quanto mai balorda gli ha sempre negato visibilità e riconoscimenti.
Basti pensare che il lavoro migliore, il mini lp del 1984 «Land Of Nothing», è stato pubblicato solo 19 anni dopo; e che il primo lp «Sinnermen», all'epoca dell'uscita, nel 1986, è stato pesantemente penalizzato da un infelice e non autorizzato remissaggio, e solo nel 2009 - 23 anni dopo - ha visto luce nella versione originaria.
Operazione fondamentale, la riedizione di «Sinnermen», nel senso che il disco del 2009 è qualcosa del tutto diverso rispetto a quello datato 1986: tanto è deflagrante e dinamico il primo quanto opaco ed attutito il secondo. E se un gruppo che frulla insieme Cramps, X e Gun Club non suona come dovrebbe suonare un micidiale combo garagista, allora è difficile che i conti tornino ...
Alla fin fine, cos'è quindi «Sinnermen» se non un percorso che si snoda lungo quindici composizioni, forgiate legando indissolubilmente punk e rockabilly («You really Got Me Babe», «Ice Eyes Baby» e, come bonus, la cover di «Kissin' Cousins» di Presley, peraltro già massacrata a dovere dagli esordienti Saints nel 1977), psichedelia hard e blues («I Know Your Feelings», «My Lovely Loved», la rollingstonesiana «Cocksucker Blues», per citarne alcune); il tutto reso con lo spirito di chi, pur mosso da un istinto ribelle innato e temprato nell'orgia settantasettina, è ben consapevole di cosa vada preservato dell'eredità dei genitori.
Per dirla con una massiccia dose di retorica, il più bello tra i dischi (mai pubblicati) dai Gun Club, fermi al crocicchio dove si incontrano la grezza irruenza di «The Fire Of Love», l'inquietudine mai pacificata di «Miami» e la meditata e fosca maturità di «The Las Vegas Story». Allora. non è un caso che in «Sinnermen» trovi posto «Pray For Your God», quella che a pieno titolo può essere considerata la naturale progenie di «Preachin' The Blues», il brano che da solo basta a simboleggiare tutto il convulso universo di Jeffrey Lee Pierce ai tempi di «Fire Of Love».
X e Gun Club, si è detto, ma a ben vedere è perfino riduttivo etichettare i Not Moving come un incrocio bastardo tra il rock'n'roll anfetaminico degli X di «Los Angeles», «Wild Gift» e pure «Under The Big Black Sun» (e però che belle che sono tutte le canzoni interpretate a due voci da Lilith e Dome, ad insinuare il folle dubbio che siano anche più bravi di Exene e John Doe) ed il blues perdente e desolato, ma mai domo, dei Gun Club e di un Jeffrey Lee Pierce che vive di corsa e muore giovane nella passione bruciante di brani quali «A Wonderful Night To Die» e «In The Batland», con la chitarra di Dome a sprofondare in gorghi infiniti di riverbero.
Come ciliegina sulla torta, l'inclusione - nel cd versione 2009 - del precedente ep del 1985 «Black'n'Wild», con la sua alternanza di suoni secchi e convulsi (la garagista «The Crawling») e ballate blues lente ed evocative («Eternal Door»), e la cover di «I Just Wanna Make Love To You» per la quale si può parlare a ragione di seminale attitudine punk-blues (Scientists ed Harem Scarem, tra i primi nomi che mi vengono in mente come termine di paragone).
Si chiuderà di lì a poco, l'avventura bella ed importante dei Not Moving, ma Lilith, Dome La Muerte e Tony Face sono ancora in circolazione, a raccontare e suonare altre storie, diverse nella sostanza da quelle di trent'anni fa, ma sempre uguali nel ripeterci che il rock è roba di garage, più che di musei e gallerie d'arte ...
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