L'esordio dei Nothing But Thieves attirò (giustamente) molte attenzioni da pubblico e stampa specializzata, centrando anche la top ten britannica e ottenendo discrete attenzioni persino negli USA (traguardo non scontatissimo per una band d'oltremanica).

Adesso è giunto il momento per Conor Mason e soci della conferma con il secondo lavoro in studio. "Broken Machine", prodotto dall'esperto Mike Crossey (già al lavoro con Arctic Monkeys e Twenty One Pilots) è stato registrato in California, scelta che ha probabilmente influito nella conquista di un sound più "americanizzato" rispetto all'album di esordio.

I due singoli che hanno anticipato l'opera descrivono perfettamente la bivalenza di stati d'animo che troviamo nel disco: "Amsterdam" è una scossa tellurica di chitarre ed evoluzioni vocali, con un ritornello perfetto per la dimensione live, mentre "Sorry" è più delicata e richiama molto da vicino (forse un po' troppo, perlomeno nella seconda parte) "Smile Like You Mean It" dei The Killers. I riferimenti rimangono i soliti, in testa i Muse pre-era "Black Holes And Revelations".

Della prima tornata fanno parte la devastante opener "I Was Just A Kid", le rocciose "I'm Not Made By Design" e "Get Better", oltre alla curiosa e piacevolmente tamarra "Live Like Animals". Tra le delicatezze, invece, da segnalare il sentito omaggio ai Radiohead periodo "The Bends" di "Afterlife", i sognanti acusticismi di "Hell, Yeah" e l'arrangiamento della titletrack, che rivela un notevole gusto della band per delle architetture sonore più originali.

Lo stesso dicasi della chiusura "Number 13", il pezzo più particolare del disco, dotato di un bellissimo riff e di una struttura che si allontana dalla tipica scrittura alt rock.

I Nothing But Thieves si confermano, provano a centrare il bersaglio grosso (almeno dieci pezzi su tredici sono potenziali singoli di successo) e si propongono come autorevoli leader tra le nuove leve dell'alternative rock britannico moderno.

Miglior brano: "Live Like Animals"

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