Oggi mi sento diverso. Sento qualcosa che mi attanaglia l'anima, la sento sottopelle, vedo la mia vita passare davanti a me, fuori dalla finestra in una sera novembrina, con un temporale che mette paura. Il cielo è grigio, oscuro e paranoico, la pioggia cade incessantemente e sempre più forte, ed il suo scrosciare rimbomba nella mia testa mentre io non riesco a distogliere lo sguardo dalla città davanti a me, che sembra quasi essere partecipe di un pianto divino. Tutto è fermo, immobile. "Arte Novecento" è nel lettore... e quasi spinto da una forza intrinseca che non riesco a controllare, premo il tasto play... So che questo significherà farmi male, che l'estremo connubio con le note di quel disco e i sentimenti che suscita in me quel cielo gemente possono essere letali e rischierei di sprofondare in un tunnel emotivo senza alcuna possibilità di uscita... Ma è questa l'unica vera soluzione, l'esorcismo della mia negatività interiore. Mi sento tremare quando le prime note di "Pioggia... January Tunes" si fanno spazio nelle mie orecchie sotto quello scrosciare dolente, delle visioni mi offuscano il cervello, vedo una fata danzare con la pioggia che le accarezza la pelle... "Luci da dietro infinite gocce, da un binario senza tempo parte un treno per le stelle...". E i peli della schiena diventano stalattiti quando mi sento avvolgere completamente da quelle chitarre elettriche.

Poi mi assale la lenta carica di "Homecoming", dove Giuseppe Orlando riesce a passare direttamente da ritmiche atmosferiche ad accelerazioni death velocissime ma al contempo subdole e soffuse... "Cavalca di nuovo quelle note e tutta quella sabbia, troverai la stessa voglia di spiegare le nostre ali su di questa terra arida... Stesso cielo oscuro di nubi disperate sopra i nostri capi appassiti". L'arpeggio di "Remorse" mi risveglia, mi sento attraversare da nuove sensazioni... La prima parte della canzone è avvolgente e densa di un'atmosfera negativa che sembra prepararsi all'esplosione quando entra prepotentemente la batteria, che ci accompagna fino alla seconda parte della canzone, strumentale, dove due chitarre si incrociano armonicamente tra loro e il basso sembra inciampare in mezzo alle loro note... Il rimorso è il sentimento che domina in questo brano, la voce di Carmelo Orlando, ad un certo punto, sembra voler scavalcare il cielo per chiedere perdono... "Non trovando nulla per placare il dolore che venne a lavar via le mie colpe... Abbiamo perso gli ultimi bagliori che potevamo trovare in questo pantano". L'anima dei Depeche Mode domina nella cover di "Stripped" e sembra di vedere Martin Gore che imbraccia una chitarra elettrica mentre cerca di suonare heavy metal. La mia anima ringrazia quando sente l'inizio di "Worn Carillon", l'atmosfera è più pacata e luminosa e posso prendere respiro, eppure è solo un'illusione... Presto la negatività incomberà anche qui, quando il basso prenderà il sopravvento seguito da una tirannica chitarra che accompagna l'ugola di Carmelo Orlando nella confessione a Dio delle sue sensazioni... "Un incendio di dolore mi lascia inginocchiato tra le fiamme, il tuo logorante silenzio dipinge i miei orizzonti color pioggia, prendi i miei ultimi desideri con te, dammi un altro minuto per l'ultima preghiera". L'acqua che sento scorrere in "A Memory" sembra farsi largo nelle mie orecchie fino ad arrivare nel profondo del mio cuore e il riff diventa man mano sempre più aggressivo... il ricordo è quello che stimola questa canzone, il ricordo "di giorni muti"... il ricordo "di te che vagavi per le stanze vuote di ciò che fu il nostro paradiso...". Non so più cosa dire per descrivere la filastrocca, la poesiola per bambini: "Nursery Rhyme". Un arpeggio armonioso, una chitarra acustica che si insinua in me e un coro da far gelare il sangue, prima dell'entrata della chitarra elettrica... E mai mi sarei aspettato quel finale pacato e al contempo aggressivo, introdotto da ritmiche tribali e sfociante nella melodia più pura ed avvolgente. E' questa la canzone più melodica di Arte Novecento, è questa la pura poesia distillata e messa in musica... "Noi, in questo soffiare del tempo, perdiamo i nostri sogni come gli alberi danno le loro foglie alla terra...". Nessun cedimento con l'episodio strumentale di "Photograph", è arrivato il momento di "Will". Ancora un arpeggio, anzi, due arpeggi che si sovrappongono, note che scivolano come lacrime, dove si ode ancor meglio la produzione di seconda scelta e per questo più evocativa e sincera. La voce di Carmelo Orlando è un richiamo ancestrale, che, prima di abbandonarsi alla pura violenza della chitarra e della batteria a briglie sciolte, si tempesta di domande senza risposta con cui sembra voler soccombere... "Perché sento il bisogno di perdermi nella profondità dei tuoi occhi?... Cosa divide le nostre labbra dal così sospirato interminabile bacio?... Cos'è questo vuoto che accomuna il tuo cielo grigio al mio?"...

E siamo arrivati a "Carnival". E' il rifiuto totale del mondo a chiudere Arte Novecento. Il rifiuto e il disinteresse di ciò che non riesce a rispecchiare il tormento interiore, affogandolo nella banalità, nell'esteriorità, nell'ipocrisia. Non ho più le forze per descrivere quest'ultima, meravigliosa canzone, alternanza chiaroscurale di ritmiche serrate e delicate, di violenza cieca e melodia allo stato puro, un intenso e grigio panorama metallico dell'animo umano.
"O pioggia, portami via da questo luogo privo di sogni..." chiede Carnival. Se per lei non ce la farà la pioggia, per voi basterà questo capolavoro.

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