Un capolavoro del metal italiano.

Non ci sono altre parole per descrivere questo disco dei Novembre, uno dei miei gruppi preferiti di sempre che ho seguito e seguo tutt'ora con enorme interesse. La band capitolina guidata dai fratelli Giuseppe e Carmelo Orlando è una vera e propria macchina da guerra, capace di sfornare capolavori su capolavori con una creatività a dir poco disumana. Come tanti considero loro capolavori due album in particolare, "Classica" e "Novembrine Waltz": per me è stato molto difficile sceglierne uno solo da recensire, ma alla fine l'ha spuntata questo del 2001. Non so perché, sono entrambi coinvolgenti e magici, ma in questo valzer novembrino c'è qualcosa di speciale che mi attrae. L'album è la summa di tutto ciò che suonano i Novembre: dark, prog, death, doom, folk, musica classica, con gli stili più disparati (growl, voce pulita, scream) e una tecnica sopraffina soprattutto per quanto concerne le chitarre e la batteria. L'album è un viaggio agrodolce, una lunga danza che è anche un saliscendi di emozioni, dalla gioia all'amore alla disperazione e alla tristezza.

Se l'apertura "Distances" rende l'aspetto più death e cupo del gruppo, con la voce inizialmente quasi baritonale (che tanto mi ricorda Ribeiro dei Moonspell) che si trasforma subito in uno scream ferale e violento. Su tutto si distende lo stupendo tappeto chitarristico, che dal disegnare melodie sanguigne si rasserena di colpo più e più volte per delineare nientemeno che, sul finale, "Il Lago Dei Cigni". In mezzo a questa traccia tanta maestria nel fondere più generi ed influenze.

Se alla fine di "Distances" si può rimanere estasiati, sappiate che siamo solo all'inizio, e che sta per arrivare "Everasia". Odore di mare, di salsedine, di legno invecchiato al sole cocente, rumori di corde che vengono tirate per issare stupende vele bianche: siamo su un vascello pirata, salpate a bordo, direzione "Everasia", la pura estasi sonora. L'inizio è sognante, chitarre leggere ci prendono per mano fino al verso "issa oh oh issa!!", la nave salpa, davanti a noi solo il mare aperto, e i marinai che intonano canti pirateschi per tirarsi su il morale, e si cimentano in danze ardite e dal sapore antico. Inizia la tempesta, gli uomini stanno perdendo fiducia in sé stessi, ma il capitano è lì che li sprona: "uomini non mollate la terraferma è lì anche se non la vedete!!". Ecco che i marinai si rialzano e lottano contro la furia della tempesta, con in mente solo il ricordo del loro amore lasciato dall'altra parte del mare ("alla fine delle righe solo il tempo per capire che si muore e il tempo non si ferma mai/ma per te che sai gioire son bugie da ignorare vivi sempre non morire mai"). La burrasca sembra calmarsi, e a fianco della nave spuntano i primi delfini a supportare anche loro i poveri marinai esausti. D'improvviso la terra in lontananza: un nuovo vigore investe tutti, e come se fossero appena salpati riprendono tutti le proprie posizioni e ricominciano a lavorare più energicamente e velocemente la prima. La terra si fa sempre più vicina, la musica cambia passo e si fa sempre più veloce e coinvolgente, sino a sfociare nel meraviglioso finale. Gli uomini raggiungono tutti sani e salvi il porto: "Everasia" è raggiunta, che il sogno continui.

Come non commuoversi ora di fronte ad un'altra stupenda immagine novembrina, il pierrot arroccato su una rupe che canta al mondo la sua sommessa disperazione. Traccia estremamente orecchiabile e dall'incedere malinconico e sognate, solo sul finire si incupisce grazie al ferale growl di Orlando. Vi prego non perdetevi alcun fraseggio chitarristico o il drumming convulso di questa traccia, sono veramente capolavori tecnici ineccepibili e che ti si stampano nel cuore.

Un sussurro strofe appena dichiarate con voce soffusa ed un unico accompagnamento di chitarra: è il tenero inizio di "Child Of Twilight", "come impazzire in un mare dorato", reminiscenze di vecchie canzoni novembrine, ricordi quasi sbiaditi dal tempo che subito però riemergono con tutta la loro forza. Le magiche tastiere dipingono con caldi colori pastello un tramonto sul mare d'oro, poi inizia la canzone, un crescendo convulso che sfocia in un attacco death più disperato e lacerante, e così lontano sembra il dolce e dimesso inizio di questa traccia. Sublime.

Una sorpresa: "Cloudbusting" di Kate Bush coverizzata dai Novembre (e con la voce dei Third and The Mortal). Un incedere marziale e quasi battagliero, un drumming preciso ed onnipresente, chitarre trionfali e tastiere a coprire il tutto con un solare manto musicale. Questa è la dolce e fiera "Cloudbusting", da sentire in tutti i modi.

In un prato nebbioso alla tenue luce della luna sta nascendo "Flower", ennesimo capolavoro. Commuovetevi ascoltando le chitarre e i loro arpeggi dalle tinte notturne, e attendete con ansia il break tastieristico a metà traccia. Le chitarre salgono lente con un roccioso riff metal, poi uno stacco e si intravede il vero cuore pulsante e vivo di questo fiore. Un essere che si nutre dei sentimenti umani, uno stupendo organismo i cui petali costituiscono ognuno una diversa emozione, una corolla che, tutta insieme, rappresenta la nostra vita e tutte le sue contraddizioni. Perdetevi nel finale convulso, arrabbiato e malinconico di questa traccia, e ve ne innamorerete.

La quasi strumentale "Valentine (Almost An Instrumental)" è un altro viaggio, stavolta più solare e armonioso dei precedenti, una canzone molto complessa nel suo incedere così tecnicamente vario e ammaliante. Si giunge quindi al trionfale finale di questo album, affidato a altri due pezzi da novanta. La decadente "Venezia Dismal" ci guida in gondola attraverso i canali di questa barocca città, della quale non percepiamo tanto gli ori o i lussi, quanto l'anima di una città classica che tenta di ricordarsi del suo passato ormai irrecuperabile. Talvolta sembra di sentire i Rondò Veneziano, ma sono solo gli echi e gli spettri che vivono in questa città, orgogliosa quando fa risaltare con tutta la sua forza le vittorie e gli onori passati. Attacchi death iperveloci ci riportano alla mente la musicale "Serenissima", e il finale è tutto un trionfo coinvolgente che ti porta a chiudere gli occhi e a fantasticare.

L'oscura e dall'incedere pseudo-doom "Conservatory Resonance" chiude il disco. Maestosa e orgogliosamente classica, la traccia si struttura attraverso rimandi a opere musicali classiche. Sembra di rivedere macerie di antiche città ormai inesistenti, statue e busti di eroi ormai distrutti, vengono alla mente i templi dechirichiani spersi nelle metafisiche valli dei ricordi, è come se tutta l'antichità classica suonasse qui la sua commemorazione. La voce è quanto di più potente e sofferto si sia sentito nell'album, coinvolgente e toccante.

Qui finisce la nostra danza novembrina. Il disco è un capolavoro immenso, il frutto di una band che solo ora (purtroppo) sta cominciando ad essere notata anche in patria. Prendetevi tutta la loro discografia, ma soprattutto non lasciatevi sfuggire questo disco la cui grandezza e maestosità sono veramente indescrivibili.

Ps: chiedo scusa a StefanoHab se ho postato, per l'appunto nello stesso giorno, 2 recensioni fatte da lui... il problema è che sono dischi che sento troppo, mi piaceva buttare giù qualcosa su di loro... tutto qui! Un saluto

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