È passato solo un anno e mezzo dalla pubblicazione di quel grande capolavoro che è stato "Materia", disco della consacrazione definitiva a livello internazionale del trio italiano. E solo dopo un anno e mezzo ecco che ritroviamo i nostri in sala di registrazione e pronti a sfornare quello che ha tutte le carte in regola per essere un nuovo capolavoro.
Lo stile è sempre riconoscibilissimo tra mille, quel tipico stile novembrino a cui la band ci ha abituato da "Arte Novecento" in poi, quello stile che riesce a colpirti allo stomaco con le distorsioni, una doppia cassa tiratissima e un growl maestoso e che allo stesso tempo sa essere estremamente suggestivo, sfornando perle irraggiungibili come Nostalgiaplatz, Verne ed Everasia. Lo stile rimane quello, quello che riconosceresti tra mille, anche se le atmosfere sono cambiate rispetto all'etereo "Materia". Non ci sono probabilmente in "The Blue" canzoni che cominci subito a canticchiare dopo il primo ascolto come Verne o Memoria Stoica: "The Blue" è un lavoro dove i nostri hanno portato il loro stile su lidi più vicini al death metal melodico e al progressive. C'è un ritorno del growl, relegato ad ambiti di nicchia in "Materia", un growl sempre elegante, maestoso e mai fuori posto, accompagnato dai soliti intrecci strumentali estremamente raffinati e ricercati con cui ormai il trio ci ha viziati. È un disco questo che probabilmente richiede più tempo per essere assimilato fino in fondo rispetto a "Materia" o "Novembrine Waltz", ma il tempo, vi assicuro, è ben speso.
L'apertura dedicata alla curatissima Aenemia è semplicemente spiazzante, con una chitarra acustica su un tappeto di violini che arabesca l'arpeggio principale, presto accompagnata tramite un elegantissimo fade-in dall'intera band che riprende lo stesso arpeggio, per poi continuare in una squisita alternanza tra growl e cantato pulito, intrecci vocali e strumentali. E la successiva Triesteitaliana è probabilmente una delle tracce più riuscite, con le sue distorsioni massicce, un intermezzo dove sembra a tratti di sentire gli Slayer, seguito da un finale spiazzante recitato da una chitarra acustica e da un intreccio di clean vocals. Degne di nota anche l'ottima Cobalt of March, probabilmente una delle canzoni che rimangono più impresse nell'ascoltatore fin dal primo ascolto con le sue soffici melodie vocali, e per un sublime pezzo strumentale che da solo vale l'intero prezzo del cd come Zenith, una traccia dove convivono senza conflitti le distorsioni delle due chitarre accompagnate dai ritmi serrati della batteria e le melodie vellutate disegnate da un flauto traverso.
Insomma, un disco dove il trio capitolino dimostra di saper fare ancora una volta centro pieno, supportati anche dalla produzione impeccabile e cristallina della Peaceville Records.
Carico i commenti... con calma