C'è una finestrella nel bagno dello squallido fast food.
Una finestrella con le sbarre, e da li vedo le luci gialle dei lampioni confondersi con le foglie degli alberi e il buio della notte.
Non ce l'ho con questa città, in fondo. Non è mica colpa dei balconi e delle scale, delle strisce pedonali e dei gradini, se tutto è immerso in questo clima opprimente.
È un castello di sabbia lontano dalla marea, abitato da scarafaggi.
C'è una finestrella nel bagno dello squallido fast food, ha le sbarre, e le luci dei lampioni fissano per terra. Devo andarmene.
No. Ne faccio parte anche io, e questo mi manda fuori di testa.
Lei costruisce, fortifica e distrugge continuamente i suoi discorsi, come un bimbo circondato da giocattoli. "Dai, è Normale". Una delle parole che più mi spaventano. Mi terrorizzano anche i sinonimi di questa aberrazione letterale.
"Consueto" per esempio, non mi rende il boccone meno amaro. Puzza d'aceto che prende a calci il mio cervello. Ho sempre pensato che, se tutto è come deve essere, allora questo vorrebbe dire che siamo una massa di impotenti che alzano le spalle quando ricevono merda addosso.
Un pensiero che mi sconvolge, quello della presunta normalità che avvolge il corso naturale di ogni cosa.
Non accetto. Non insistere.
Io non sono uscito da uno stampino e di certo non invidio quel lampione con le sue viti, li, a tenerlo ben saldo e dritto sul cemento. Quello che voglio è soltanto non cambiare mai, anche se so che irrimediabilmente, gli avvenimenti tenderanno a far si che come quel pezzo di ferro, anche io guardi verso l'asfalto.
"Maybe I will never be all the things that I want to be...".
Ed io mi sento già spezzato, più che curvo.
Vorrei vedere il mondo intero con un solo sguardo, attraversare i continenti come fossi vento e ridere di chi pensa di avere tutte le risposte a portata di mano.
E griderei "We're gonna live forever" fino al collasso delle corde vocali, sotto quella pioggia mattutina che penetra le ossa.
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