"La musica è evoluzione".
Provate a riflettere su questo semplice concetto: ogni genere, o ramo musicale, nasce da una diversificazione rispetto alla consuetudine che fino ad allora aveva caratterizzato le proposte precedenti. Con questo non parlo di maggior complessità, ma di attitudine. Non c'è niente di complesso nel punk, ma quando è nato è stata un'innovazione rispetto al progressive imperante nei seventies. Una semplificazione certo, chiamatela involuzione se volete, ma non si è trattato di tornare indietro, bensì di creare modelli di comunicazione nuovi, capaci di infiammare i sentimenti di una generazione.
L'arte si è sempre esposta allo stesso modo, i suoi contenuti sono cambiati, ma lo scopo è sempre stato lo stesso; meravigliare.
Questa premessa mi è sembrata necessaria per poter parlare degli Oceansize; quintetto inglese appartenente a quella corrente musicale denominata (solo per esigenze di comprensione) neo-prog e che dell'evolversi fa il suo biglietto da visita.
Dalla complessità del debutto "Effloresce" (2003) questi ragazzi sono passati ad un'apparente semplicità con "Everyone into Position" (2005) che aveva fatto gridare ai detrattori stroncature per il piglio più melodico e tendente al mainstream. Quasi a rispondere a queste comunque infondate accuse, ecco tornare i nostri nel 2007 con "Frames". Compatto e sperimentatore al contempo (e non è poco) riesce a miscelare sapientemente elementi di post-rock a sfuriate Hardcore nello stesso brano grazie anche alla dilatazione che tutti i pezzi del platter condividono (tutte le tracce superano i 6 minuti).
Le composizioni vengono affrontate con una naturale propensione verso la melodia che riesce a spezzare la tensione anche dei passaggi più intricati dove le tre chitarre si avvinghiano in arpeggi psichedelici e sognanti. Il tutto risulta però legato in maniera indissolubile e non si avvertono forzature nell'inserimento di passaggi in controtendenza con il mood del pezzo, anzi si tratta di variazioni che stupiscono l'ascoltatore senza mai risultare estreme. Ogni movimento è preparatore di quello successivo e così in un caleidoscopio emozionale tutte le tracce si imprimono nella mente lasciandoci la sensazione di aver ascoltato qualcosa di diretto come il punk o il glam-rock, nonostante la complessità strumentale e le sovrapposizioni riconoscibili ad ascolti più attenti.
Far passare per orecchiabile qualcosa di volutamente variegato non mi sembra affatto semplice, ma basta ascoltare "Trail of Fire" per rendersi conto della naturalezza con cui questi ragazzi ci riescono; un incedere più volte accelerato e rallentato pronto ad esplodere quando la tensione accumulata lo richiede.
E così in questo viaggio ci avventuriamo nella rilassatezza di "Savant", nell'energia esplosiva di "Sleeping Dogs and Dead Lions" fino alla dilatazione onirica di "Frame" e il tempo non sembra neppure passare. Abbiamo ascoltato una quantità di variazioni sonore che a molti gruppi avrebbe permesso di costruire un'intera discografia, qui invece è tutto in meno di 70 minuti e non sembra affatto compresso.
Se però volete delle coordinate prima di gettarvi nella grandezza di questo oceano posso dirvi che l'aver ascoltato Porcupine Tree, Dredg, Mogwai, Tool o Motorpsycho qui vi farà sentire a casa, ma seduti su di una poltrona nuova. Qui c'è il gusto dell'esplorazione tipico di certo progressive, la propensione per la melodia del pop e l'energia del rock e del punk; un concentrato delizioso che vi consiglio vivamente di gustare.
Un disco pieno di originalità e voglia di stupire insomma, un disco che sono certo vi saprà meravigliare come è compito dell'arte fare.
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