Da alcuni anni all'interno del metal si sono venute ad instaurare alcune tendenze già presenti in altri generi: una di queste "nuove" disposizioni è quella dei side project, ovvero gruppi paralleli creati da alcuni membri di diverse band con l'obiettivo di poter dar libero sfogo alla propria fantasia, come succede spesso per quei musicisti che si ritrovano in qualche modo "emarginati" nella loro band "madre" e decidono di metter su un side project per poter imporre le proprie idee e gusti musicali. Ne sono nati diversi tra cui (solo per citare alcuni più conosciuti) Rainbow, Freedom Call, Demons & Wizards e molti altri che potrebbero far diventare chilometrica la lista.
Gli October Tide sono proprio uno di quegli innumerevoli "progetti" musicali nati negli anni scorsi: hanno visto la luce negli anni '90 grazie a due membri dei Katatonia che hanno deciso di cimentarsi in questa nuova esperienza. Fu così che Jonas Renkse e Fredrik Norrman diedero inizio alla carriera degli October Tide, che pubblicarono il primo album, dal titolo "Rain without end" nel 1997. Dopo alcuni cambi di line up, nel 1999 nacque la seconda creatura del gruppo, "Grey Dawn", che non riuscì a bissare il successo del precendente lavoro. Da quell'anno molte cose sono cambiate, tanto che per vederli di nuovo all'opera si è dovuto attendere fino allo scorso 2010, quando la Candlelight Records fece uscire il terzo capitolo della band svedese: "A thin shell".
Come è naturale che sia dietro a questo progetto si muove l'oscura ombra dei maestri Katatonia, motivo per cui il death/doom che ci viene proposto dagli October Tide è almeno in parte influenzato dalla magia tetra dell'ex Lord Seth. Ragione questa che in parte vaporizza anche la curiosità dell'ascoltare in un album di questo tipo, che appare etichettato fin dall'inizio. Il freno a mano tirato su dal pregiudizio non occulta però un album che nel bene e nel male è comunque positivo. La voce, affidata al singer Tobias Netzell (anche cantante degli In Mourning) si presenta perfetta nell'incastonarsi con il sound della band, che rispetto al passato abbandona in parte la malinconia del doom e si getta maggiormente sulla potenza del death melodico. Inoltre un'ottima produzione esalta le chitarre di Fredrik Norrman e Emil Alstermark che nel corso del disco si alternano e si completano attraverso un lavoro chitarristico delicato e melodico che riesce a passare con disinvoltura a toni decisamente più pesanti. Ciò però, non comporta la completa riuscita di quest'album che sebbene presenti tutti i buoni elementi su elencati rimane un involucro abbastanza indifferente all'udito dell'ascoltatore. Buoni esempi di death melodico sono l'iniziale "The custodian of science" che alterna parti malinconiche ad altre più propriamente death, "Deplorable request" e le compatte "The dividing line" e "Fragile". Eppure l'atmosfera complessiva è piatta, stantia. Qua e là si avvertono le reminescienze di "già sentito", con obbligati rimandi alle grandi band del genere. La scintilla che dovrebbe far scattare emozioni, che dovrebbe elevare le dosi di malinconica attenzione in chi ascolta l'album non si accende. Si rimane intrappolati dentro quel guscio sottile evocato da titolo e copertina: all'interno la musica, decisa, perfetta, fin troppo "studiata" e all'esterno lo scatto emozionale, il pathos.
Alla fine? Qualche spunto positivo, alcuni passaggi ben suonati e convincenti, contornati da un'atmosfera che con se non porta nulla.
1. "The Custodian Of Science" (7:33)
2. "Deplorable Request" (6:03)
3. "A Nighttime Project" (4:32)
4. "Blackness Devours" (5:15)
5. "The Dividing Line" (5:43)
6. "Fragile" (6:35)
7. "Scorned" (6:33)
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