Non ci siamo proprio, a questo giro gli October Tide hanno, a mio modesto parere, toppato (o come si dice dalle mie parti, padellato) in pieno. Sono conscio di andare controcorrente e di esprimere una posizione di critica opposta a quelle date dalla maggior parte delle riviste (e siti) su questo album, ma sinceramente non riesco a trovarci molti spunti interessanti.

Il gruppo in questione non è altro che l'unione (al di fuori dei Katatonia) di Jonas Renkse e Fredrik Norrman, con in più, in questo caso, Marten Hansen alla voce in sostituzione dello stesso Renkse (autore di una grande prova canora nel precedente disco, nonché debutto). E qui casca l'asino (la prima volta).

Sì perché l'esecuzione del suddetto neo acquisto mi ha lasciato piuttosto freddo, un growl piatto, monocorde, senza nessun tipo di inflessione espressiva. Era dai tempi di "Serenades" degli Anatema che bocciavo in toto un growl (e al tempo lo feci per Darren White).

Tralasciando questo primo difetto, possiamo catalogare (per chi ama le catalogazioni) il genere dei nostri come doom-death metal, dalle tonalità tristi e decadenti molto debitrici ai primi Katatonia. A sprazzi lenti, funerei e devastanti per la tensione che riescono a accumulare, si sostituiscono furiosi intermezzi death, solcati da linee chitarristiche ben note ai fan del gruppo "maggiore" di Renkse & co. Il risultato è tutto sommato piacevole, peccato che, e qui mi casca l'asino per la seconda volta, i pezzi si assomigliano un po' tutti, e i momenti chiave del disco si riducono a poco meno della metà degli otto brani del disco. Tutto scorre sin troppo lineare, senza lasciare grosse impressioni e senza appesantire, neppure un po', il cuore e l'anima di chi ascolta il disco (cosa che un buon album doom dovrebbe fare, o comunque non dovrebbe lasciare così indifferenti). Cascate di riff, sempre lo stesso growl, batteria che accelera poi incede mesta poi di nuovo accelera, e via così per tutti i pezzi.

Mi sento di segnalare l'opener "October Insight", "Floating", che per lo meno riesce a farsi ricordare se non altro per una struttura accattivante, e "Into Deep Sleep", quella che mi sembra la più convincente sotto il profilo della pesantezza e delle sensazioni che suscita. A dirla tutta non sarebbe pessima neppure "Lost In The Dark - And Then Gone", ma è pesantemente minata (come tutto il disco) dalla propria ripetitività, dal suo arrovellarsi attorno alle solite strutture.

Sinceramente mi spiace troncare così un disco verso il quale nutrivo ottime aspettative, vuoi a causa del precedente "Rain Without End", vuoi per la mia stima verso i Katatonia; purtroppo però non posso che criticare tutta questa monotonia in un genere che per natura non brilla certo di vivacità e spensieratezza, ma che ci ha regalato e regala perle ineguagliabili e dischi buoni, di gran lunga comunque superiori a questo "Grey Dawn".

Rivolgete le vostre attenzioni ad altro, questo è il mio consiglio.

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