Helsinki, 2018...

Una specie di track by track...

Se un organino battezza l'estasi del flaneur in una sensazione di leggera follia.

Se un sapore dolciastro ti fa pensare a Gemini e Claudine.

Se la macchina del tempo atterra nell'ottocento romantico.

Se un sole molto inglese fa capolino tra malinconia e dolcezza.

Se un'assolo di chitarra lambisce le zone Rock Bottom.

Se qualcosa di evanescente dipinge il reale.

Se il reale si scioglie nell'evanescente.

Se una svolazzante grazia in minore abbraccia la musica popolare.

Se una felicità senza motivo...

Se...

...

Ma chi sono, anzi chi sarebbero, questi Octopus Syng?

E' gente che i foglietti del calendario volano all'indietro, fai conto i sessanta/settanta, fai conto il più imprecisato AltroQuando. E AltroQuando funziona nel modo che ora vado a spiegarvi.

Gli Octopus Syng vengono dalla Finlandia e io della Finlandia so poco, se non addirittura quasi niente. Immagino ci siano boschi, immagino sia freddino. Immagino grog, taglialegna, biondissime fanciulle alte sei metri, divinità a metà strada tra Thor e Babbo Natale.

Però, ecco, a giudicare da questo disco, diresti che la Finlandia sia da qualche parte tra Cambridge e Canterbury. Una discrasia spazio temporale mica da ridere, anzi una faccenda quasi da indagatore dell'incubo, il quale, se fosse interpellato, ti direbbe che, quando evidenti tracce del passato si trovano nel futuro, il minimo che può accadere è trovarsi a fluttuare nell'indefinito. E questo, ovviamente, non solo in Finlandia.

La vecchia Inghilterra potrebbe trovarsi anche tra Sarsina e Bertinoro. E allora succede che sei nell'osteriola con piadina e vino rosso, ma, se guardi fuorì dall'oblò/finestra, il panorama abituale è andato a farsi fottere.

...

Se “Victorian Wonders” spacca, spacca di gentilezza. Non aspettatevi smandrappatezze, non aspettatevi stramberie, se non un pochino oppure quanto basta.

Qui ci si limita a passare da una porticina stretta, solo che quella porticina è quella giusta....

Immaginate i Floyd barrettiani in combutta con la Canterbury più morbida. Traccia due, per dire, sembra una canzone di Syd cantata da Robert Wyatt.

A far capolino, oltre a tutta una serie di minori di quell'epoca magica, anche quel Paul Roland, portatore sano di psichedelia ottocentesca

Ma, aldilà di questi riferimenti, il disco ha qualcosa che è suo e solo suo. Il profumo è quello di un forno lontano, il sentore quello di un retrobottega, le nuances una nebbia leggera inghirlandata su colori tenui. Su tutto l'improvviso frescume di una finestra aperta.

La musica è scritta sull'acqua e sull'acqua rimane. Se fugge lo fa in sottilissimi rivoli che si insinuano piano. Qua e la rare pozze di sole le donano una luminiscenza tenera e distratta, come se un sorriso lievemente stonato ne fosse l'illuminato mentore

La sospensione, che è sospensione della coscienza e, insieme, una coscienza altra, è un costrutto di malinconica armonia, una specie di ricordo che non riesce a essere struggente, perché quel che fa è soltanto sfiorare con la leggerezza di un sussurro.

Che bello...

Che bello!!!

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