Questo disco qui mi fa pensare a una estate in cui sono andato al mare. Cioè, praticamente io non ci vado mai a mare, però una volta c'era una ragazza che mi piaceva e a cui piaceva andare a mare e allora io appena potevo la andavo a prendere e la portavo al mare.
Probabilmente è una storia triste perché poi, voglio dire, come tante altre volte non sono stato capace di portare avanti una relazione, scontrandomi con quella che ritengo una mia difficoltà materiale nell'intrattenere rapporti di qualsiasi tipo con le pesone.
Sicuramente è una storia triste perché alla fine mi ero innamorato. Cioè anzi per dire la verità: mi sono innamorato proprio all'inizio, praticamente subito, dopo cinque minuti. Però lei no.
Però è anche una bella storia perché le storie d'amore sono sempre belle alla fine. Cioè significa che provi qualche sentimento importante e questo significa che nonostante tutto sei ancora vivo anche se poi in quel momento specifico vorresti essere morto, perché ti senti dentro un buco grosso come la palla di un cannone.
Resta una certa malinconia come quella che ti viene quando guardi le onde del mare al tramonto e poi ti guardo accanto e lei non c'è.
Poiché al mare non ci sono andato più dopo quella ultima volta, con questo ultimo disco de gli Oddfellow's Casino il mare me lo sono portato direttamente dentro casa oppure - meglio - dentro di me facendolo entrare in circolo nella mia anima direttamente dalle cavità delle orecchie.
Il nuovo disco de gli Oddfellow's Casino, la band di Brighton, UK, capitanata da David Bramwell, si intitola 'Oh, Sealand'. Uscito lo scorso 7 luglio per l'etichetta francese Microcultures, il disco celebra i 15 anni del progetto e si propone come uno dei dischi più interessanti per chi è appassionato a un certo tipo di sonorità indie folk e atmosfere che possono rimandare a una certa letteratura inglese ottocentesca e arrangiamenti particolarmente curati come dettagli su pellicola cinematografica.
Non parliamo tuttavia di un disco di musica folk convenzionale. La proposta musicale del progetto di Bramwell in questo caso mescola il gusto della tradizione folk psichedelica inglese degli anni sessanta-settanta con una certa tradizione pop nel campo dell'elettronica degli anni ottanta che fa eco a artisti come Gary Numan e i New Order, i Pet Shop Boys fino a una psichedelia intellettuale come quella dei Future Sound Of London/Amortphous Androgynous.
Il disco secondo me è idealmente spaccato in due parti per quello che riguarda le sonorità nel suo complesso. Sebbene vi sia ovviamente una linea comune che tiene unito l'intero progetto che si propone negli stessi intenti del suo 'fondatore' come una rappresentazione iconografica di paesaggi di pescatori nel sud dell'Inghilterra e che paga pegno nel titolo a quello che poi sarebbe il principato di Sealand. Più o meno l'Isola delle Rose britannica: una struttura artificiale creata dal governo inglese durante la seconda guerra mondiale e occupata dal 1967 dal militare e conduttore radiofonico britannico Paddy Roy Bates che ha proclamato la piattaforma 'principato con sovranità indipendente'.
Suggestioni quasi di carattere futurista ma dipinte con tinte acquarello che tolgono ai propositi del futurismo ogni finalità di natura bellica e prendono nettamente le distanze dai vari Marinetti, Depero e Cangiullo e che sono in qualche modo sottolineate ancora di più dalla partecipazione alle fasi di registrazioni del disco di una personalità così popolare e allo stesso tempo quasi mitizzata come quella del fumettista e scrittore Alan Moore.
In pratica c'è un sacco di carne a cuocere in questo disco.
'Land of The Cuckoo' introduce subito sonorità caleidoscopiche di marca Amorphous Androgynous mescolando evocazioni reverberate a una elettronica quasi funk. 'Sealand' ripropone lo stesso tipo di suggestioni ma con l'accompagnamento di un arpeggio e una sensibilità nel songwriting degna di Simon & Garfunkel suonati sotto la superficie del mare mentre si ripetono in sequenze scandite dal tempo le pulsazioni sottomarine di un sommergibile che non è ancora riemerso in superficie dalla seconda guerra mondiale e tutti quelli che ci sono a bordo non sanno nulla di quello che è successo nel mondo e forse non gliene importa nulla. 'Down In The Water' si fonda su un crescendo groove funky sempre di derivazione Future Sound of London, mentre atmosfere malinconiche sono tipiche in una canzone come 'Sons And Daughters of A Quiet Land', sempre costruita su di un arpeggio di chitarra e con un intelligente e dosato utilizzo dei synth e di sonorità di derivazione dubstep senza per questo eccedere in inutili lagne tipo James Blake o manierismi che priverebbero questo disco di quella semplicità che poi si fonda comunque su una cura importante di ogni dettaglio e che nei rimandi cinematografici suona quasi come il Morricone di 'Giù la testa' ma sotto la superfice del mare.
'Swallow The Day' è una ballata psichedelica acquarello che riprende sonorità tipicamente degli anni sessanta-settanta del genere e propone ancora soluzioni semplici, ma di una efficace profondità emotiva; 'Mustard Fields' è una articolata composizione di synths che si rifa idealmente ancora a una certa tradizione della musica elettronica suburbana made in UK degli anni novanta che sfocia in una specie di soluzioni di natura contemplativa oppure, permettetemi il gioco di parole, che rimandano alla contemplazione della natura. La cura dei dettagli in questo caso è veramente particolare: la voce riverberata, un vero marchio di fabbrica del resto dell'intero progetto contraddistingue la parte cantata, fino alla chiusura che è una specie di rock and roll suonato su di una nave fantasma. 'Danu' è praticamente la 'Atlantis' de gli Oddfellow's Casino e dove Donovan incontra l'elettronica più minimale e semplice del compositore Jean Michel Jarre.
Dopodiché il disco in qualche modo cambia.
'The Ghost of Watling Street', il singolo che ha anticipato il disco, è una canzone pop-oriented e che rimanda effettivamente ai New Order meno claustrofobici oppure a una specie di versione al ralenty e de-vinilizzata di Gary Numan; determinati set atmosferici John Foxx, ma senza chiaramente raggiungere quelle vette compositive che sono tipiche dell'ex frontman de gli Ultravox!
'Children of The Rocks' è una canzone pop-rock nello stile degli Air: da questo punto di vista è una canzone inattacabile. Arrangiata in una maniera semplice ma efficace e costruita su un potente giro di basso, si fonda su echi beatlesiani da 'Octopus' Garden' oppure 'Yellow Submarine' e chitarre reverberate nello stile del richiamato popolare duo electro-pop francese. 'Josephine' è un piccolo ritratto esempio di pittura vittoriana e che ricorda negli arrangiamenti quella bella band che erano i Cousteau di Davey Ray Moor. 'Penda's Fen' cede di nuovo al gusto pop-rock degli Air, mentre 'Blood Moon' mescola di nuovo fascinazioni pop Cousteau con un certo downtempo e cantautorato folk che diventa quasi quel progressive Pink Floyd tipico di canzoni come 'Green Is The Colour', 'Brain Damage'...
Non lo so se ci troviamo davanti a un vero e proprio capolavoro: probabilmente no. Però è un disco che evoca determinate suggestioni e malinconie che poi sono tipiche di questo periodo di trapasso dall'estate alla stagione dell'autunno, quando a mare del resto non ci puoi andare più e comunque in questo caso - parafrasando il grande profeta Maometto, pace e benedizione su di lui - se non siete voi ad andare al mare, è il mare che viene da voi direttamente dentro casa e vi ricorda che certe cose alla fine non si possono e non si devono dimenticare, ma bisogna invece accettarle, così come il mare accetta lo scorrere delle correnti.
Carico i commenti... con calma