Torno ancora a parlare di fumetti “impegnati” (oggi le chiamano Graphic Novel ma la ciccia è la stessa) e in particolar modo di questo “Mort Cinder. Gli Occhi di Piombo” (in realtà l’edizione originale si intitolava solo “Gli uomini dagli occhi di piombo” ma tant’è, a che serve pagare un titolista frustrato se non può nemmeno metterci del suo?!…), primo volume di una serie di 9 rieditati anche recentemente in versione pregiata.
Mort Cinder è una breve serie uscita all’inizio degli anni 60, ad opera di quel talento visionario di Héctor G. Oesterheld, già autore Cult de “L’Eternauta” (morto assassinato dal regime militare argentino di quegli anni) e dei disegni/affreschi di quell’altro genio del pennello che risponde al nome di Alberto Breccia (morto ormai anch’egli nel 93 ma di vecchiaia - beato lui!).

Mort Cinder è in tutto e per tutto un’opera grafico-letteraria piena di rimandi a Poe, Kafka e al cinema espressionista di Fritz Lang o di Orson Wells, per la cura maniacale alle luci e alle inquadrature mozzafiato che il maestro Breccia dissemina qua e là nel racconto, contribuendo non poco alla sua drammatica messa in scena.
Un racconto-incubo visionario, sceneggiato come un vero e proprio noir che sfocia a tratti nell’horror e che racconta di un’ometto insignificante e fifone (Ezra Winston, che lo stesso Breccia prese ispirazione creando una sorta di se stesso …invecchiato!) che fa l’antiquario, che diventa suo malgrado eroe per nascondere la scoperta sensazionale di un uomo né morto né vivo (Mort Cinder) che ha vissuto migliaia di anni e che fugge nell’arco dei secoli dalla cattura da parte di misteriosi uomini dagli occhi di piombo (da cui il titolo).

La trama è abbastanza semplice ma la parte più interessante è la costruzione narrativa vista dalla soggettiva del vecchio protagonista che (specie nella prima parte) ci fa partecipe delle sue fobie e delle angoscie più profonde, sforando a volte in passaggi degni di un bignami di psicanalisi applicata.
Un fumetto che passa continuamente dall’azione all’introspezione psicologica e che viene supportato magistralmente dalla mano pittorica e raffinata dei quadri di Breccia, mestro discusso di un bianco/nero leggendario che ha figliato tutta una generazione di disegnatori tra cui l’osannato Frank Miller.

Un’opera decisamente “avanti” che si fa prendere la mano ogni tanto dal gusto dell’inquadratura e da tagli di luci e ombre davvero impagabili (a scapito della sceneggiatura a tratti prolissa e didascalica, come si usava in quegli anni) e che ne aumentano la suggestione rendendo il tutto decisamente ossessivo e per certi versi “satanico”.

Opera “maledetta” da leggersi tutta d’un fiato, magari in una notte di luna piena, a lume di candela, seduti su una vecchia sedia a dondolo scricchiolante. Meglio ancora se ci si trova in uno chalet immerso nel bosco, lontano da tutto e tutti…. E sogni d’oro (se riuscite a farne!).

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