Ciò che definisco psico-revival è una rivisitazione in chiave "intimistica" (e un po "hype") di generi e stili del passato: essi vengono eradicati dal terreno in cui erano ben piantati e vengono traslati nel regno dei ricordi e della visione. Kevin Barnes, nativo di Athens [Georgia, USA], fondatore e leader degli ultradecennali Of Montreal, di visioni se ne intende; e questa ultima sua estremamente vivida caleidoscopia di suoni/colori lo conferma a pieno.
"Lousy with Sylvianbriar" è la memoria eidetica ed onirica dell'infanzia, di altre dimensioni, tempi e luoghi: libero pensiero free-form mentre si ascolta Bob Dylan e si canticchia Neil Young, viaggiando per un'America idealizzata a "luogo della mente", con cieli turchesi e cumuli a bassa quota, rustiche autostrade percorse da lucenti Jeep nere che attraversano le verdeggianti pianure centrali; Buick 4x4 usate che percorrono al tramonto polverose arterie di sonnecchianti contee degli stati del sud. Ed altre amenità del genere. Ed è tutto poi così ben cesellato e variegato che si riuscirebbe facilmente a rendere "metafisica" la candida utopia, conferendo così all'opera quell'aura di universalismo sognante, visionario e quasi astratto, che fu anche (e soprattutto) del migliore Dylan d'annata.
Un'operazione più colta di quanto potrebbe sembrare, almeno ad un ascoltatore "distratto", investito solo da una colata di miele e da una folie quasi infantile. Oltre ai testi, quasi sempre impregnati di un surrealismo grottesco quasi innocente, nello stile di propriamente psichedelico non c'è molto: solo un senso di leggiadra dilatazione, di straniante relax. Struttura e fraseggio sono quelli del "roots" indie rock d'oltreoceano: tradizione folk ("Sirens of Your Toxic Spirit", "Raindrop in My Skull") e country ("Hegira Émigré") rock ("Fugitive Air", "Belle Glade Missionaries") in delicata salsa lo-fi, con elementi merseybeat ("Colossus") e garage ("She Ain't Speakin' Now"); un amalgama che raramente fu tanto felice.
Un'identità artistica già assertivamente affermata quella degli Of Montreal già con i numerosi album precedenti (soprattutto con l'altrettanto fantastico "The Gay Parade" del 1999), ma è con questo ultimo sforzo che il gruppo trova finalmente la giusta e ben meritata collocazione all'interno delle prime orbite dell'empireo indie del nuovo millennio.
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