Anni zero, tempo di revival. Guardarsi alle spalle per far rivivere un'epoca. Operazione improbabile, anti-storica, patetica. Anche perchè si capisce che è un falso, si sente che è posticcio. C'è l'effetto vintage, oggi abusato, che fa comprendere che "il passato è una terra straniera". Però è anche bello sapere che oggi, finita la Storia, c'è chi se ne frega e ripropone pari pari la musica di una volta. Se poi questo recupero si basa anche su una vena compositiva sopra la media e un gusto, una grazia, una classe negli arrangiamenti come non capita tutti i giorni, allora possiamo anche abbandonarci col nostro bel sorriso ebete al puro piacere degli Of Montreal.

La "corporazione" di riferimento è la Elephant 6, etichetta dedita ad una ripresa, ora calligrafica ora distorta, dell'eredità psichedelica dei sixties. Tutti si sono buttati in questa "operazione nostalgia", meno i migliori del plotone, quei Neutral Milk Hotel che ci hanno abbandonato sul più bello, dopo 2 favolosi dischi di "fuzz-folk" che hanno spazzato via, come uragani emozionali, lo scorso millennio. I NMH facevano tutto fuorchè revival, presentandosi così come gli eretici della Elephant 6. Altri compagni di viaggio dei "nostri", come gli Apples In Stereo, scrivevano anthem poco indie e tanto pop, saccheggiando i 60's per seppellirli però sotto strati di vocoder, effettacci e timbri forzati. Non che non abbiano lasciato il segno gli AIS con il loro zucchero filato, perchè qualsiasi pop-star darebbe via tutti gli organi per comporre "Radiation" o "Play Tough", ma l'eleganza degli Of Montreal, quella non ce l'ha nessun'altro, fra i "manieristi" della nostra era.

E così “Satanic Panic in the Attic”, uscito nel 2004, sesta fatica della band di Athens, è un’irresistibile mosaico rococò della musica che si ascoltava 30 o 40 anni prima. L'intento passatista è scoperto, sin dall'inizio: la consapevolezza dell'operazione, con la conseguente ironia di fondo, non pregiudica tuttavia la pura bellezza di forme musicali armoniose come una scultura di Canova. C'è un sentore di Gong, storica formazione franco-canterburyana, nella geometria spavalda di "Disconnect the dots", un invito alla spensieratezza ("It's so beautiful..."), laddove il malizioso motivo di "Rapture Rapes the Muses" pare uscito da una radiolina lasciata ardere al sole di una spiaggia. Lo stesso lido in cui scorazzano, incauti ed effervescenti di adolescenza, i surfisti di "Chrissy Kiss the Corpse"...

Dotti conoscitori non solo del lessico acid/psych/garage dei 60's, gli Of Montreal incastonano nel mosaico citazionista anche il decennio successivo, quello del glam, dell'art, del prog: "Lysergic Bliss" apre il sipario con arpeggi stregoneschi alla Amon Dull, degenera presto in una cantilena retrò, per spiazzare con una coda dove, uno dopo l'altro, vengono catalogati inestimabili reperti archeo-musicali, dalle voci operatiche dei Queen, all'organetto insonne di Manzarek, al flauto nebuloso dei Traffic. Il fatto che gli Of Montreal siano americani non impedisce loro di omaggiare i maestri d’Albione: “Will You Come and Fetch Me” ripropone in apertura la foresta di suoni lisergici tanto cara a Syd Barrett, passando il testimone a “My British Tour Diary”, spudorata caricatura delle imprese dandy di kinks-iana memoria, toccata-e-fuga (con macchina del tempo low-cost) nella Swinging London: un pomeriggio di premeditata euforia, con tanto di citazione per Gary Glitter, (in)dimenticata icona glam.

La slide afosa di "Erroneous Escape into Erik Eckles" fa pensare per un attimo ai Monochrome Set, e la vacanza si tinge di malinconia ("I'm not upset, just confused, when it's over..."). Ilairità marpiona, anacronistica joy de vivre, testarda ed irresponsabile ignoranza di quanto siano bui i nostri tempi: è il sentimento che fa capolino in "Your Magic Is Working", il capolavoro dell'album. Ne fa il paio, in una variante più quieta ma ugualmente sdolcinata, "Climb the Ladder", omaggio neanche troppo velato al pop autoriale di Todd Rundgren. "City Bird", sussurro acustico in punta di piedi, fa storia a sè. Nel finale, il disco si fa un po' lezioso, insistendo nei barocchismi e nei fraseggi leziosi, come un squadra che, in vantaggio 4-0, si concede la “melina”.

Per questa rece ringrazio Korrea, che tempo fa in chat mi fece rivalutare la Elephant 6, questa congrega di impudenti viaggiatori nel tempo, certosini conservatori di un’irripetibile eredità musicale, utopici cantori in falsetto dell'altra America, ritrattisti sorridenti dei mille volti della psichedelia pop.

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