Okkervil è il nome di un fiume russo che passa vicino a San Pietroburgo, ma è anche il nome di una giovane band che proviene da Austin, Texas! Li ho conosciuti trovandomi quasi per caso ad un loro concerto e, come mi accade quando finisco ad un concerto senza sapere nulla del gruppo… mi sono piaciuti! Sarà che mi appresto con uno spirito diverso ad ascoltare una musica che non conosco, saranno stati il locale, la compagnia, la mancanza totale di aspettative. Una cosa è certa, mi hanno colpito subito e alla fine del concerto mi sono comprata questo album.

Gli Okkervil River mescolano con disinvoltura generi come folk e rock creando uno stile molto personale, fuori dagli schemi. "Black Sheep Boy" ne è un esempio. È con questo album (il quinto della loro carriera) che gli Okkervil River sono tornati in tour in Europa. Il disco contiene undici brani, undici storie diverse raccontate a suon di chitarre, fisarmoniche, mandolino, wurlitzer, tromba e flauto, il tutto accompagnato dalla presenza di suoni provenienti da oggetti della realtà di tutti i giorni. Ascoltare questo disco significa entrare, o meglio irrompere, nel mondo a volte magico, a volte romantico e malinconico, a volte tremendamente reale e drammatico del cantante e songwriter Will Sheff. Vi si alternano ballate come "A King And A Queen", in cui il mandolino emerge con le sue melodie vibranti mentre Will ci racconta di un amore triste e di tempi lontani, oppure brani più rock come "Black" (il mio preferito) e "For Real", dove il cantante racconta di sé e delle sue inquietudini, o ancora pezzi più romantici come la prima traccia "Black Sheep Boy" (tributo a Tim Hardim) e la sette, "A Stone".
Il tutto viene narrato da una voce particolare, a tratti graffiante. Una vera voce da cantastorie. E come si conviene ad un bravo cantastorie, quando termina il suo racconto, ti fa venire voglia che ricominci dall’inizio, perché magari quelle storie sono anche un po’ tue, o semplicemente per assaporare ancora un po’ quella musica, quella voce!

“I ain’t trying to be no good, I’m happy” - Richard Pryor

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