Ancora una volta, il passato torna a farci visita. Ancora una volta i ricordi riaffiorano, riemergono come un sonoro schiaffo in pieno volto. Sono in quella che per vent'anni è stata la mia casa. Seduti accanto a me zii, cugini e amici di una vita che mi sono lasciato alle spalle. Mi hanno convinto a tornare, ad uscire per questo fine settimana dal grigiore della città per entrare nel verde acceso dei boschi che circondano il paese. Il mio paese, quello in cui stato bambino e adolescente, ragazzino monello e giovane introverso.

Ho contribuito a questa cena con il vino e la musica. Metto su il nuovo disco degli Okkervil River, band che ovviamente nessuno dei presenti tranne me conosce, e vengo invaso dalla nostalgia e dalle emozioni che da anni non provo più. La loro musica prosegue il discorso aperto da Conor Oberst e Jeff Mangum, un discorso che guarda al passato, croce e delizia della vita di ognuno. Rock dolce amaro dei vecchi tempi e folk che odora di famiglia si amalgamano alla perfezione, lasciandoci in bocca il sapore puro di qualcosa che ha forgiato il nostro modo di essere, la nostra personalità. Un album ispirato, affascinante, nostalgico.

Il pianoforte di "It Was My Season" mi accompagna verso il piccolo mondo che ora mi sono lasciato alle spalle. Un paese che si è fermato, non si è mai del tutto evoluto al nuovo millennio. Un piccolo angolo di mondo che racchiude tanti dei miei ricordi. Era la mia stagione, dice Will Sheff nella canzone, e io ripenso all'estate. Erano i primi anni novanta, attorno a casa mia c'erano distese di verde. Le balle di fieno alte il doppio di me sulle quali cercavo di arrampicarmi con i miei amichetti, o sotto le quali mi sdraiavo per ripararmi all'ombra. Era la mia stagione, l'estate, scalzo nell'erba secca dei campi e munito di un barattolo di vetro rincorrevo le cavallette e le lucertole. Ero felice a quei tempi, c'era l'innocenza dell'essere bambini e la fantasia che ci teneva lontani dalla quotidianità.

Il lauto pranzo scorre quasi al rallentatore. Zia mi chiede se ho trovato la morosa, suo marito invece scruta accigliato il mio tatuaggio sul braccio. I figli dei miei cugini girano attorno alla tavola schiamazzando, non li sopporto. Arriva il dolce fatto da mamma. Lei si siede accanto a me e mi chiede come mai mi sono fatto crescere la barba. Alzo le spalle. Vado a fare due passi dico, torno più tardi. Esco da quella casa, imbocco il vialetto e una volta oltrepassato il cancello mi metto le cuffiette bianche nelle orecchie. Sui balconi delle vecchie case vicine, anziane signore osservano il mio passaggio curiose. "On A Balcony" ha il ritmo rock di un giovane Bruce Springsteen. Allegria che tiene per mano la nostalgia. La successiva "Down Down The Deep River" mi fa tornare alla mente altri episodi della mia vita che sembrano lontani. Prendo un sentiero a destra e cammino in mezzo al bosco fino a raggiungere il torrente che attraversa il paese. Un torrente in cui andavo con gli altri bambini a pescare trote, di domenica mattina. Poco lontano da me c'è un giovane ragazzo con la canna da pesca. Alzo la mano e lo saluto, e lui ricambia con un cenno. Sento il ronzio del mulinello, vedo la lenza luccicante e il rosso galleggiante in attesa di un pesce. Noi da piccoli andavamo lì e ci divertivamo con quello che c'era. Facevamo la lotta nelle basse e fredde acque di quel fiume, o gareggiavamo a chi lanciava i sassi più lontano. Ogni volta tornavamo a casa bagnati fradici ma soddisfatti e contenti. "We can never go back, we can only remember", dice la canzone.

Torno in paese. Gli Okkervil River continuano a suonare il loro passato. "Where The Spirit Left Us" e "White" sprigionano le loro emozioni ormai trascorse e mai più provate, la loro difficile adolescenza lasciata alle spalle ma ricordata con malinconia. Passo davanti alla scuola, è rimasta identica a com'era quando la frequentavo io. Tempi duri, periodo che, a cavallo tra vecchio e nuovo millennio, ho trascorso tra bullismo e momenti di disperazione, tra prime cotte e delusioni che parevano infinite. Passo davanti a una casa bianchissima, con il giardino curato e due cani che sonnecchiano all'ombra. Ricordo quando, io e altri, ormai non più bambini, ci nascondevamo tra le siepi di quella casa per spiare la ragazza che ci abitava. Si metteva sul terrazzo a prendere il sole. Ricordo il suo bikini rosa, e sorrido nel ripensare alle nostre fantasie di giovani intraprendenti. Lei era bellissima e sempre nei nostri sogni. Chissà che fine ha fatto. Da una porta laterale della casa esce una donna grassa, con il volto spento e i capelli raccolti in una coda. Si blocca quando mi vede, mi dice buongiorno. Io la saluto. La ragazza che spiavamo è diventata così, è rimasta intrappolata in questo paesino, ferma in un realtà statica e senza vitalità.

"Walking Without Frankie" quasi mi commuove. Mi fa riaffiorare ricordi sepolti. Mi fa ricordare del mio migliore amico, che ora si è chiuso in una vita solitaria e deprimente. Non esce mai di casa, nessuno lo vede o lo sente mai. Dicono che se ne resta lì, nel suo piccolo soggiorno in mutande a bere dalla mattina alla sera, immerso nella sporcizia e nella polvere. Eravamo sempre insieme, in paese tutti ci temevano per i nostri scherzi. Due monelli, due spericolati ragazzi che si divertivano a disturbare l'intero vicinato. Soprattutto le vecchie signore. Che risate ci facevamo assieme, che meravigliosi erano quei pomeriggi passati a ridere e scherzare e giocare. Poi io me ne sono andato in città e lui è rimasto qui, in paese. Un paese che è diventato la sua prigione, la sua tomba. Cominciò a bere, a molestare ragazzine e a picchiare la madre. Camminare senza di lui è triste, camminare in questo paese senza averlo accanto è difficile. Sapere la fine che ha fatto mi fa sentire in colpa per non essergli potuto stare accanto.

Gli undici brani di questo bel disco sono inni di una gioventù mai più tornata. Cammino e ritorno al cancello di casa. Non è cambiato nulla in tutto questo tempo. Sembra quasi che qui i minuti non siano passati, i mesi e gli anni si siano bloccati. Sono stato bambino e adolescente qui, sono andato via prima che quella vita chiusa e senza sbocchi mi schiacciasse. Ho abbandonato le mie montagne per la città, ho lasciato la mia casa immersa nel verde per trovarne una in mezzo al grigio metropolitano. Ora sono uomo, ho più barba e meno capelli. Ho una vita lontano da qui, ma, in fin dei conti, come recita il titolo di una canzone degli Okkervil River, "All The Time Every Day", ogni giorno penserò a questo posto, a questa casa. Ogni giorno per tutto il tempo che mi rimane farò un pensiero al mio passato e sorriderò. Farò un pensiero al mio passato e un brivido di nostalgia percorrerà la mia schiena, e mi darà la forza per guardare avanti.

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