Mi sono accostato a questo "The Strange Names" con la consapevolezza che l'alternative rock non lo digerisco granché. Non ho nulla contro le sperimentazioni sonore, anzi, ma, erroneamente, qualche tempo fa ancora accostavo questa categoria (alt-rock) al post rock, che non riesco proprio a digerire. Ho piacevolmente scoperto che gli Okkervil River ne sono distanti anni luce. La loro musica solitamente è crepuscolare, vagamente malinconica... ma niente a che vedere con l'esasperante minimalismo post-rock.

Questo loro ultimo lavoro è a parer mio il migliore. Il precedente, "Black Sheep Boy" infatti, pur essendo considerato (quasi) all'unanimità come un piccolo gioiello nella loro discografia, io l'ho trovato eccessivamente cupo e ridondante; se non nella musica, quanto meno nella condizione esistenziale che l'ha scaturito.

In "The Strange Names" invece, tutto riluce d'una freschezza ed immediatezza che ha il notevole pregio di non scadere nella banalità. Il termine alt-rock effettivamente gli sta stretto. La musica qui suonata, infatti, pur potendosi considerare indie, è fondamentalmente un rock'n'roll di buona fattura, condito da un pianoforte ed un impianto orchestrale di prim'ordine. Inoltre, qui la band americana, affidando la produzione a Brian Beattie (il quale alla console fa il suo sporco ma onesto lavoro) ne acquista in qualità sonora, decisamente superiore allo standard.

Ciò che però secondo me caratterizza più di tutto il disco (e gli Okkervil River tutti) è la voce istrionica e fortemente espressiva del loro leader. Se è vero che nel panorama musicale vi sono forse tonalità più potenti o di maggiore estensione, Will Robinson Sheff possiede una carica emotiva che riesce ad adattare e modellare perfettamente in base allo stile musicale di ogni singola traccia.La sua vena autoironia è inoltre chiaramente presente dovunque (l'ottava traccia s'intitola "Title track"), e questo suo essere "malinconicamente ironico" secondo me contribuisce alla riuscita delle sue interpretazioni.

Descrivere le tracce dal punto di vista musicale non è semplice: posso dire che, tra ballate semiacustiche (ma le trombe e il resto ogni tanto riaffiorano) e filastrocche d'altri tempi ("Savannah Smiles"), interrotte da ritmi incalzanti e meravigliosamente azzeccati, ci si ritrova a navigare in un sound solare ma serio, spensierato ma incredibilmente profondo (molti sono i riferimenti nei testi alla cultura e alla letteratura classica). Il disco quindi vale, e vale parecchio. Tra le tante band del panorama alternative (o considerato tale) gli Okkervil River sono una di quelle poche che non deludono. Possono essere considerati i portabandiera d'un sound limpido ma talvolta crudo, incisivo dal punto di vista dell'espressione, notturno e forse anche schematico, ma mai sterile.

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