Olafur Arnalds è un talento, basterebbe scegliere una delle sue qualsiasi produzioni per essere rapito da cotanta capacità compositiva, incuriosito dalla sua ultima produzione "...And They Have Escaped The Weight Of Darkness" la cui copertina ritrae uno splendido sole di mezzanotte, così senza tante leziosità, è bastato rilassarsi, è bastato stendersi, mi è bastato chiudere gli occhi, abbandonarsi ad un gioco di melodie che sembrano nascere dalle mani di Euterpe, come se queste fossero sempre esistite, come se descriverne l’immenso incanto al solo ascolto fosse semplice ovvietà, descrivere ciò che è sempre stato, una bellezza tanto semplice quanto complessa, come le melodie che Satie seppe discernere dalla natura per regalarne l’aura bellezza all’uomo.
Il tutto si delinea tra sonorità ambient e classiche, che narrano di una terra tanto lontana quanto surreale a tratti così inaccessibile, che sembra vivere l’inquietudine di un clima così irragionevole quanto complesso.
Inquieti come gli oceani che infrangono le proprie onde sulle ripide coste nelle fredde stagioni di un cinereo inverno islandese, ed è così che quelle acque sembrano dipingersi dei colori delle imprevedibili giornate, che tanto caratterizzano queste terre.
Un album di grande spessore per un artista così giovane, già dalle prime note di Þú Ert Sólin continuando con Þú Ert Jörðin le cui eleganze e fluidità sonore producono nelle proprie velleità le meraviglie di Tunglið; come se queste vengano ritrarre dalle prime luci della alba.
Sonorità a tratti meste che profumano di ghiaccio rifrangente i flebili raggi di un sole mattiniero, a voler iniziare la splendida esibizione di una madre consapevole delle doti di una figlia sterile ma di immensa bellezza.
Un’immensità rara rappresentata in Loftið Verður Skyndilega Kalt e in Kjurrt in cui il capo di Rifstangi, appena tre chilometri dal Circolo Polare Artico vuole svelare da una semplice altura un evento tanto raro quanto sistematico in quel sole di mezzanotte in cui l’evento porta a trovarsi in una terra di mezzo.
Una Terra di mezzo in cui le sole ambizioni sonore di Gleypa Okkur e Hægt, Kemur Ljósið sembrano essere esperte nel decantare gli splendidi contrasti fra ghiacciai e gayser contornati da immense distese verdi in un cielo che sembra l’unico in grado di generare aurore boreali mentre correnti di acqua calda rendono quelle splendide cascate antitetiche ai freddi ghiacciai che le assediano.
Non avrei parole per descrivere Undan Hulu, forse all’inizio della recensione quando parlavo di bellezza e di gioco di melodie nelle mani di Euterpe inconsapevolmente mi riferivo a lei la vera perla di tutto il progetto, sembra così che il tutto si chiuda con Þau Hafa Sloppið Undan Þunga Myrk, sembra quasi di rinsavire da quell’esperienza e da quel viaggio catartico abbandonando come in un ripresa in piano sequenza in ripresa dall’alto, queste terre che lentamente si allontanano da noi.
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