Blues innanzitutto. Quello che viene dalle viscere, che è sporcizia e illuminazione, religione e lussuria, forza e disperazione. Essere un suo mezzo, la mazza che scolpisce nella roccia parole e musica per viverlo e percepirlo, può anche significare appartenere ad un’america diversa da quella dei giorni nostri, ad un’america pura\puritana sfondo però di enormi contraddizioni morali.

Significa comunque essere un’anima visionaria, nel caso di Arrington de Dionyso un’artista che fonde e mescola con la forza del primitivo apparizioni apocalittiche, sacro e profano, quasi un rito esoterico spogliato però della sua sacralità. 'Uterus and Fire' è il secondo album della band capitanata dal nostro, e vede la fondamentale entrata in formazione di Phil Elvrum, geniale batterista già scoperto con i Microphones tempo addietro.
L'album parte come una frana, massi che crollano rovinosamente su di noi, la potenza della natura che è impossibile non ammirare, Archeoapteryx Claw è uno spesso bastone di legno che percuote la roccia, ritmo che cresce e necessità di esso, riff di chitarra caracollante ed eccola, la voce sempre più caprina, sempre più animalesca, una bestia gigantesca e dal passo pesante. Phil è perfetto qui, via tutte le tecniche e le finezze, spazio ad una batteria dai suoni acustici ma distorti, piena come non mai, ridondante alle volte, dove il timpano urla come il crash che urla come non mai per invocare un Dio.

Poi c’è Broken Water, sapori orientali, fiati pigri e sonnolenti, metallici rigurgiti con Arrington ispirato: declama, esclama, incredibile figlio della catalettica “Deep in the Woods” dei Birthday Party, sei minuti e poco più che ci ricoprono di cenere. Torna (ma non se ne era mai andato) il blues, tocca con le dita lo strumento a sei corde, e proprio quando ti ci abitui una enorme cassa con ride in levare spazza tutto via, di nuovo il grasso animale ci agguanta per gola (Burning Head). Un allarme, una specie di allerta, poi la bestia si incazza, furia della natura che si ferma a rifiatare solo per avere ancora più forza, ed alla fine si posa, si struscia per terra, alza una montagna di detriti per poi ripartire e scomparire dalla vista (Casino).
Fermi tutti, ecco il primo inno degli Old Time Relijun, : Dagger!!!! Poco da dire, prendete quello che avete tra le mani e ruotatelo, urlate fino che potete e poi continuate con la voce spaccata, fissate il cielo e ballate, dimenatevi, esaltatevi perché questo è uno dei pezzi più “puri” di fine millennio, via qualsiasi barriera o filtro, vi arriva diretto allo stomaco e non si stacca più….. ma miei cari dovrete avere altre energie, la danza è appena cominciata, c’è una Giant Boat che porta alle estreme conseguenza i vostri naturali movimenti disarticolati ed una Hot Even dove il serpente sax di Arrington schizza via come animale impazzito, diventa capra, ariete, monta tutto, gronda sesso e istinto, sbava e non si placa.

I AM IN JAIL, I AM IN JAIL siamo tutti in carcere, separati dalla nostra famiglia, rapiniamo banche, rubiamo qualsiasi cosa ed ancora ad urlare, urlare (forse il punto più alto dell’album), predicando i nostri peccati e disperandoci fino ad impazzire ed a chiudere gli occhi… … ..
Una figura minacciosa si aggira nella nostra mente (è lo spettacolo giro di contrabbasso di Artman su Johnny Appleseed), siamo troppo stanchi e intontiti per capire cosa sia, per definirne i contorni, tanto poi tutto inizia a colare, a squagliarsi liquido sulle nostre mani (sempre grazie ad Aaron, qui veramente assoluto). Lo scacciapensieri ci sbeffeggia (Khomuz) ma non gli diamo molta attenzione, anche perché subito voltiamo lo sguardo, De Dionyso con una chitarra acustica in mano?!?!?!?! Forse dolci suoni ?? Forse melodie ?? Macchè, accordo unico percosso come un bongo, ghigno sarcastico verso il diavolo e via a prenderlo per il culo declamando come se ti incazzassi con un bambino qualsiasi (Office Building).

Arriva la chiusura, Telephone Call, sempre sull’orlo di un falsetto isterico che entra nelle orecchie come unghie su di una lavagna… … . Fortuna che gli altri due sotto fanno da controparte, un basso tronfio ed una batteria come al solito “larga” che ammorbidiscono il tutto facendoci finalmente riprendere fiato e respirare.

Le canzoni di Uterus and Fire sono premonizioni dell’ eclisse dell’ Era dei Pesci. Raccontano dell’uomo alla ricerca dell’ anima in un mondo di ombre. L’intero album è come un viaggio mitico attraverso l’underworld, dove salviamo una sirena che sta affogando su una nave che affonda, dove raccontiamo la burrasca di un folle amore, la prigionia e la separazione del proprio amato e dove infine c’è il sacrificio del sangue e della lussuria che crea un essere umano, la nascita.”

Essere Animali, Essere Umani.

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