Non abbiate paura. La Fine dei Tempi concepita da Messiaen non ha nulla di spaventoso. Anzi.

Un pianoforte, un violoncello, un violino e un clarinetto ci accompagnano in questo coloratissimo viaggio verso l’intimo e verso l’infinito, a tratti cullandoci, spesso scuotendoci. Un viaggio ispirato dall’immagine tratteggiata nell’Apocalisse di Giovanni, quella di eterea possanza dell’angelo che annuncia la fine dei tempi.
Negli 8 movimenti prende vita un “vortice di colori complementari” (lo dice l’autore stesso) che rappresenta uno dei picchi della musica classica moderna, e racchiude in sé scintille che poi divamperanno in quella contemporanea.

Il compositore francese (è il 1940) scrive la Fine dei Tempi facendo letteralmente “finire i tempi” (intesi come misure metriche) della musica tradizionale. Con questo quartetto infatti Messiaen esalta tecniche ritmiche inconsuete, come – tra le tante – quella del “valore aggiunto” (lo schizofrenico inserimento di note o pause in mezzo alle battute, per creare figure asimmetriche) o dei “ritmi non retrogradabili” (caratterizzati, al contrario, da una tanto complessa quanto perfetta simmetria).

Ma al di là - o meglio, per mezzo - di questi imperscrutabili procedimenti, ciò che lascia sorpresi è che le armonie che scaturiscono dai suoi calcolati intrecci sono di sfolgorante sinuosità. I disegni melodici danno corpo a immagini emozionanti, ricche di suggestione, degne di quell'"arcobaleno teologico" che Messiaen indica come chiave di lettura della profonda ispirazione religiosa dell’opera.

Assurdamente belli sono i due movimenti di Lode (Louange): il quinto, à l’Eternité de Jésus, dove il violoncello canta “infinitamente lento” sugli accordi di pianoforte; e l’ottavo, a l’Immortalité de Jésus, un duo “estremamente lento e tenero” di piano e violino, che con note struggenti sale – insieme all’autore, insieme all’Uomo – verso l’amore perfetto del Verbo incarnato.

Lasciatevi accompagnare, vale la pena.

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