Frank Zappa e i suoi figliocci. Nonostante la caratura artistica dell'inarrivabile baffone, è innegabile/evidente che la continuazione del suo discorso da parte di altri artisti/pretenziosi surrogati più o meno validi è (proporzionalmente all'assoluto valore di tali opere) quantomeno limitata. Le strade tortuosissime e l'oltranzismo di certe idee sono terreni troppo tortuosi per permettere che dei comuni mortali possano percorrerle, come un Valentino Rossi in F1.

Questo Omar Rodriguez Lopez non è un centravanti sudamericano, bensì il (boaro) chitarrista dei Mars Volta. Il suo sport preferito è lo sfoggio della sua conoscenza (se sia relativa o assoluta decidetelo voi) in materia musicale, lo fa suonando con un timbro figo e accattivante rievocando illustri predecessori a partire dal suo stile nevrotico fino al titolo del suo progetto.

Dopo un trascurabile disco con Damo Suzuki dei Can e un altro prolisso come una coda in posta, ecco la sua nuova fatica discografica.

Se state cercando un frullato molto poco discreto (nel senso che la ridondanza qui schizza un po' dappertutto) del Frank Zappa di "Hot Rats", dei Soft Machine di "Third"  riarrangiati secondo gli umori dell'era di Mtv, dei Mars Volta (che di fatto bastano per allungare l'elenco di influenze) e di trent'anni di storia dei guitar heroes, siete serviti.

L'occhialuto chitarrista si sporca le mani con jazz, funk, influenze latine e sporadicamente con inserti elettronici di krauta memoria. Oltre che ovviamente con tanto rock n' roll contemporaneamente infuocato e freddo come un sorbetto della Bindi, che spesso perde la sua magia nel vano ricorrere alla "disciplina" frippiana. Perchè a differenza di mister King Crimson, il chitarrista portoricano suona molto (anche) di pancia.Un po' come il binomio tra gli occhialoni pseudo-intellettuali del nostro e i suoi capelli selvaggi, ogni esplosione sonora è controllata e pecca spesso di autocompiacimento, così presa nel gridare in faccia all'ascoltatore questa e quella (illustre) influenza.

Tanta spocchia potrebbe far pensare a un disco di insostenibile masturbazione chitarristica, ma tra una scala jazz a mille all'ora e gli immancabili richiami a Hendrix, è facile scorgere un talento non indifferente e troppo spesso sottovalutato. Lopez non maschera la mancanza di idee dietro al virtuosismo, ma quest'ultimo è l'ossatura delle sue composizioni, piaccia o meno. Lo testimoniano le incursioni psichedeliche, quella voglia di liberatorio ultra-rumore e straniante ricerca della musica "totale". Lo testimonia la seconda parte del disco, dove il barrage chitarristico iniziale trova via via la sua messa a fuoco.

Delle tracce ivi presenti non mi sento di menzionarne una in particolare, questo è un lungo flusso di coscienza, rivestito di effetti pseudo vintage ma vividamente futurista, come i contrasti tra samba e musica cosmica. Il flusso di coscienza di una scimmia, forse. In definitiva forse non sono la persona giusta in grado di prescindere dal Bergsoniano orizzonte storico/musicale in cui ci troviamo, e mi limito a mettere prudentemente tre stellette (benchè abbondanti) al tutto, ma aspetto questo artista al varco per un lavoro che sappia sfatare tutte le mie incertezze nel giudizio e mi faccia sorridere compiaciuto durante l'ascolto. Perchè pare che a un certo punto le scimmie si siano alzate in piedi.

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