E poi ti chiedono che lavoro fai. Rispondi che sei un musicista e un compositore. E poi non ti prendono davvero sul serio, magari scrivi dischi ogni 7 anni, fanno difficoltà a crederti. E poi dici di chiamarti Omar Rodriguez-Lopez. E allora dicono che sei prolisso, che esageri. E hanno davvero ragione. Devi ammetterlo. Però sei un musicista e un compositore. E così alla gente vengono in mente nomi che vanno da Zappa (nessun paragone possibile) a Mike Patton (paragone accettabile con le pinze). Poi ascoltano la tua musica e la tendenza alla ripetizione fa un po' paura. L'amore per le progressioni latinjazzmathematiche vanno a riproporsi qua e là fin troppo spesso, fino a che decidi che non vuoi più ricadere nel circolo vizioso delle storture che hai "creato" tu. E allora ti focalizzi un po' meglio su una direzione differente. Non in tutte le tue uscite, per carità, un passo alla volta, ma fatto bene.
E allora scrivi un disco industrial, industriale a modo tuo, in attesa che i paragoni di cui sopra s'adombrino un poco e che venga in mente Trent Reznor (sempre troppo in là ma giusto per dare un'idea). Ma non affrettiamoci con le conclusioni, con gli accostamenti azzardati e con una serie di altre menate metafisiche. Cerchiamo di comprendere il misfatto. Dove si pone l'accento di questo nuovo lavoro è dove cambia tutto, come è già accaduto con l'ultimo della Volta di Marte. I pezzi si raddrizzano, in un certo senso, le canzoni sono canzoni, l'elettronica forma il brano, e c'è una voce presente ed è proprio la sua, la chitarra ha uno scopo differente, accompagna e tesse trame che quadrano e non confondono, gli arpeggiatori danzano cadenzati sotto melodie al limite della ballata elettrico/elettronica come in "Sea Is Rising" che si schiude in un ritornello aperto e struggente, pop nella sua fruibilità mutante e allucinogena. Le chirurgie ritmiche sono affidate a Deantoni Parks e a Juan Alderete (i soliti noti) e si palesano stentoree nell'iniziale "Storm Shadow", marziale, industriale, melodica e nella seguente "Happiness" che si fa canto industriale paranoide ed ipnotico al pari della maniacale "Maria Te Canta".
Ma ancora non ci siamo. La maturità, rinnovata ora nel bozzolo elettronico, raggiunta in quel lontano post At The Drive-In che mi ha fatto impazzire, non concede un altro slancio di lucidità sfolgorante che permetta la nascita di un nuovo capolavoro. A volte si comincia bene, a volte si tende a continuare in direzioni ripetitive, questa recensione ne è la prova stessa, due anni fa scrivevo del medesimo artista, si tenta un cambiamento, non c'è semplicità nell'azione, ma quando hai un disastro nella testa è difficile anche solo tacere.
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