Quattro composizioni come un chiasmo post nucleare. Sembra quasi che tutta la simbologia e il parlare cifrato riferito ai quattro dell'Apocalisse venga svelato in colpo solo. Siamo arrivati al punto in cui o si firma col sangue di stare al gioco, perché si fa pesante da accettare, o si molla l'osso e si continua a vivere cercando di rifiutare l'idea di questo possibile futuro.

Per chiudere la trilogia, gli Oneida ci propongono la dimensione evoluta del proprio suono, lungo una linea di futuribile che va a chiudersi in una camera iperbarica destinata a friggere. Qui siamo lontani dal dub rock psichedelico, elettronico, spaziale, disturbato e ai crauti (e molte altre cose) del capitolo precedente ed invero lontanissimi dalla ouverture. Non si può neanche dire che siamo agli antipodi: questa è musica di un altro posto. O del nostro posto, quello che condividiamo in sei miliardi, nel momento in cui starà bruciando di fuochi non scatenati e alimentati da cause naturali. Probabilmente generati dal deflagrare di industrie ad orologeria, innescate da atomi impazziti.

Questo album è travolto da fuzz caratteristici per essere acidi, elettrici che di più non si può e molto affilati. Qualsiasi strumento, voce o effetto provi a mettere piede nei quattro brani viene contagiato da quest'aria carica di elettricità malata, turbolenta, dronica e ossidrica. Quella smossa da un fuoco chimico, le cui fiamme sono perennemente dritte e bianchissime, mai libere di dimenarsi e riscaldare come quelle di un fuoco naturale. Con gli Oneida di questi tempi si visitano solo ambienti asettici e freddi (magari quelli che hai in testa tu), nonostante tutto bruci. Se avete presente quei film di guerra in cui qualcuno che sta morendo nella sparatoria più sanguinosa dell'umanità, vede tutto rallentato e una musica placida contrasta con la frenesia intorno e anticipa il rigor mortis, ecco, ci siete vicini.

Se se ne fa un discorso di evoluzione, si capisce bene, in ogni caso, perché questo album approdi a lidi che mi pare di aver già abbondantemente sentito altrove. La differenza la fa il francobollo con cui questa roba ti viene spedita in testa, e sul francobollo c'è scritto Oneida. Si sente che suona loro e per questo suona avanti. E' un suono che devi cercare di raggiungere tu. Non ti mette a tuo agio e non ti canta la ninna nanna preferita. Se lo vuoi devi impegnarti a stargli dietro. Ancora una volta? Sì. I maratoneti che sono riusciti a venire fuori dalla gimkana di Rated 0 devono rifare tutto daccapo e marciare, sudare, farsi le paranoie per poi raggiungere quel punto di svolta nella mente. Quando capisci tutto e ti calmi, sei sereno, pur sapendo che la scala dei valori dentro di te è tutta scombinata. Ma, ecco, hai raggiunto un nuovo equilibrio. Il problema è proprio questo cambiare equilibrio, punto di vista e consapevolezza ad ogni uscita.

Oppure, più semplicemente, Absolute II è l'ennesimo raspone che cancella ogni ontologia possibile sulla loro musica. Inutile starci a ragionare. Gli Oneida sono nati per alzare l'asticella, per spiazzare, per non dare punti di riferimento, per portare il concetto di ascoltare in valore assoluto alle sue estreme conseguenze. Oggi sembra che vogliano cambiare il campo di gioco, sfidando gli ascoltatori e portandoli in un non-luogo a-musicale e lasciarli chiusi lì, per poterli osservare straniti e ghiacciati dalla paura, dalla parte di dietro di un vetro a specchio. Lì, li vedo godere, sadici, delle nostre reazioni indotte da questo minimalismo spietato, intransigente e mefistofelico. Melodia n.0, ovvero lei stessa dopo aver subito un intervento in radiologia con i raggi fuori dal controllo umano.

Questo, poi, mi ha fatto riflettere su un paio di cose.

1) Io sono sempre andato a genio alle donne. Anche a quelle che ce l'hanno di legno e che credono nel muscolo depilato. Un cervello peloso fa presa parimenti, alcune lo hanno capito. Mi circondano di sguardi donne di diversa età, madri con figli sui 10 - 12 anni le più grandi, ragazze, coetanee, anche alcune teenager. Alle volte ho fatto anche selezione, tante altre ho fatto i conti con la bottiglia per i fine serata di un paradossale restare a secco. Io continuo ad essere amato e cercato dalle donne. Solo che mi detestano i loro uomini. Alcuni mi vorrebbero sbattere di loro pugno la testa contro la parete e farmi schizzare fuori dall'orecchio libero il cervello. Alcuni vorrebbero vedermi soffrire. Chissà cosa millantano nei miei riguardi, nel privato del loro orto violato dalla presenza del mio pensiero nella testa delle loro donne. Diranno che mi uccidono, che un coglione così poche volte s'era visto. Chiederanno di non prestarmi attenzione, di ignorarmi. Molte donne le conosco prima di conoscere i loro uomini. C'è subito molta sintonia e tanto entusiasmo. Poi succede che incontro lui. Tempo un mese e di fatto non mi cagano più. Sento che lui avverte la minaccia. Sento che lei mi pensa uguale, anche se non me lo può dire. Ne ho in mente una, tra loro, nel cui orto metterò il piede dopodomani sera, quando capiterà che la vedrò e sarà in compagnia, ma non quella di lui.

2) Quell'irragionevole razionalista di mio cugino ha una corsia preferenziale per il vaffanculo diretto. Io parlo di Kasparov e il giorno dopo ne parla lui, io parlo di "Non ti pago" e il giorno dopo lui ne sa qualcosa di più. Io parlo e lui sa. Fortunatamente si vede che è un tipo psicorigido. Credo odi il suo profondo sapere accademico e l'aver capito tutta la filosofia che ha studiato. Il fatto è che è in trappola. In linea teorica sa tutto ma gli manca il vissuto quotidiano e me lo vorrebbe rubare. Sciorina le mie conoscenze, popolari, a go go. Perché sa che solo io e un altro paio potremmo capirlo quando parla a modo suo. Cerca di rendersi digesto al pubblico parlando della mia vita, delle mie scoperte come se fossero le sue. Mi fa piacere di sapere che un cartesiano come lui invidi profondamente la mia vita, che un rasatore di tabule come lui trovi la mia vita degna di essere raccontata. Io ringrazio me stesso per aver sviluppato la mia personale filosofia di vita e non aver mai comprato i libri di Abbagnano.

Evviva gli Oneida e chi se li fa.

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