"Good Time": è quello trascorso insieme a Oneohtrix Point Never. Prendete un'atmosfera fantascientifica, di quelle cupe. Di quelle in stile videogioco anni '90. Si, di quelle che mettono pure un po' di ansia. Perché, parliamoci chiaro, a trovarci in una situazione di caos futuristico molti di noi durerebbero davvero poco.
Dunque: tenebre, ansia, fretta, ignoto... paura. Ma paura di cosa?
Paura del futuro, e della gabbia in cui ci troviamo.
Tutto questo, però, prima che possiate vedere quantomeno il trailer del film al quale quest'album fa da colonna sonora. Un film dei fratelli Safdie, in cui Connie (anche titolo di uno dei brani) cerca di tirare fuori dal carcere il suo fratello handicappato, arrestato dopo una maldestra rapina in banca.
Ok, forse ci eravamo sbagliati sull'ambientazione fantascientifica. Ma qui la paura dell'ignoto, del futuro, la fretta, l'ansia e le tenebre ci sono tutte. E c'è anche la reclusione.
Le atmosfere di questo album sono ipnotiche e, come al solito, aperte a varie interpretazioni. Sembra quasi di cadere in un sonno cosciente: ogni tanto si sente qualche voce umana, qualche parvenza di dialogo, e allora si raggiunge lo stato di dormiveglia per qualche secondo. Provi a svegliarti, a tornare in te stesso, ma niente da fare. Il synth di Mr. Lopatin ti si aggrappa alle caviglie, di peso, e ti riporta giù.
Il fatto di rimanere incantati dalle sonorità di Oneohtrix Point Never non è affatto cosa nuova. Va bene, forse i livelli di psichedelia che erano stati raggiunti in "Garden of Delete" non possono essere ripetuti, ma anche "Good Time" ha la sua dose di espedienti ipnotici. Molti dei quali mutuati proprio dal disco precedente. Ci troviamo sicuramente di fronte a un lavoro più ordinato, una perfetta colonna sonora: psichedelica e coinvolgente, che ti fa perdere coscienza, ma mai il filo.
I suoni sinistri di questi brani ti entrano nelle vene, ti intorpidiscono. Poi, ogni tanto, ti danno una bella scossa. Come accade in Connie, in cui Daniel Lopatin mette alla prova l'orecchio dell'ascoltatore con quello che molti definirebbero "rumore". Crea una distrazione, infastidisce, disturba, prima di cambiare pattern e virare su sonorità più orecchiabili. Spesso più soft, per regalare sollievo. E nel sollievo si ricade nell'ipnosi, e quasi la si preferisce. Meglio rimanere lì, piuttosto che svegliarsi e ritrovarsi nel caos totale. Niente di nuovo, per carità, lo stesso schema è riscontrabile anche in brani come Freaky Eyes e Sticky Drama del sopracitato "Garden of Delete", ma anche in diverse tracce di lavori ancora antecedenti, come "R Plus Seven". E d'altronde è anche giusto così, un artista deve avere il suo timbro.
Da annotare sul taccuino anche l'ultima traccia: The Pure and the Damned, che vanta la collaborazione Iggy Pop.
"Ogni giorno penso a districarmi e sciogliermi da queste corde in cui mi trovo
E per condurre una vita pura
Guardo avanti al cielo limpido.
Non ci arriverò
Ma è un bel sogno, è un bel sogno"
Anche nell'ultimo brano, l'unico con un testo vero e proprio, siamo dentro ad una gabbia, intrappolati. Senza sapere cosa ci aspetta, e con un pizzico di consapevolezza che, quello che realmente desideriamo, non l'otterremo mai. E va bene così. Si, perchè la vita funziona così, però sognare non costa nulla:
"Un giorno, lo giuro, andremo in un posto dove potremo fare tutto quello che vogliamo
E potremo avere dei coccodrilli come animali domestici"
Ma sì, spegniamo la luce e sognamo. Che tanto, con Mr. Lopatin, sognare viene da sé.
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