Ve la ricordate la dannata festa delle medie? Quella dove se chiedevate Fonzies, immancabilmente rimediavate avanzi, eccetera ecceteranza? Io ricordo come fosse ieri, una di quelle tristi parentesi preadolescenziali, improvvisamente e inaspettatamente allietata da un ritornello che faceva pressapoco così: "SLAM! Too too roo... Too too roo! Let the boyz be boyz! SLAM! Too too roo... Too too roo! Make noyz B-Boyz...". Dopo aver chiesto a chi aveva schiacciato play sullo stereo: "Ma chi cazzo sono 'sti pazzi?!" e aver ottenuto come risposta: "Boh. Gli Onyx." ne sapevo quanto prima. Onyx? Ma proprio come la marca di jeans pacco per teenager lobotomizzate da troppe puntate di Beverly Hills e anni di assidua lettura di Cioè?

Fortunatamente, sebbene la grafia del nome sia identica, come ben presto scoprii, la crew in questione con baci strappati al fidanzato della migliore amica, e lavande vaginali con la Coca-Cola per non rimanere incinte, non aveva (e non ha) a che fare una benemerita cippa. La storia del Rap, forse più di quella di tutti gli altri generi musicali, è stata pesantemente segnata dalla formula: esordio col botto = secondo album non all'altezza delle aspettative createsi di conseguenza. Felici eccezioni ve ne sono state e ve ne sono. Ma poche mi son rimaste impresse come quella di queste simpatiche canaglie. Tanto brutti e tanto cattivi, da annoverare un discreto numero di estimatori pure tra i metallari. E sto parlando di quelli pesi, non di quelli con la maglietta degli Hammerfall e i manuali di Dungeons & Dragons nello zainetto. Sempre di pessimo umore e affetti da una cronica necessità di urlare il loro disappunto. A suon di rime dure come il pane di due settimane fa e nere come il carbone che la Befana vi ha fatto trovare nella calza, quando siete stati cattivelli. Sicuramente mai quanto loro. Ai quali però non si può dire proprio nulla. Non perché i contenuti dei loro testi non siano discutibili. Ma il rischio è quello di ritrovarsi accerchiati in tempo zero da una banda di neri del ghetto incazzati, pronti a farsi giustizia a suon di mazze da baseball e pedate griffate Timberland.

Dopo il fortunato esordio datato 1993, la sedia recante la scritta "Boss" in cabina di regia, passa dalle mani del compianto Jam Master Jay, a quelle luride e ansiose di dollaroni dei membri del gruppo titolare. Ridimensionata la formazione a terzetto con l'uscita dai giochi di Big DS, a Sticky Fingaz, Fredro Starr e Sonee Seeza tocca quindi l'infausto compito di stordirci e trascinarci per i capelli (o la collottola se, come loro siete calvi) nelle strade del Queens. La formula è quella più, rappisticamente parlando, semplice ed efficace possibile. Ovvero: cassone pulsanti, sberle al posto dei rullanti, bassi che ricordano Giuliano Ferrara (nel senso che sono belli ciccioni eh. Non antiabortisti e filo berlusconiani, per carità...) e campioni al minimo sindacale della pulizia. Ritornelli urlati da chiunque si trovi nei paraggi e fuck! shit! bitch! motherfucker! nigga! come se piovessero. Se gli introiti delle vendite di "Bacdafucup", da un lato hanno liberato Sticky e soci da fastidiose incombenze come basare cocaina in uno scantinato infestato dai topi, schiaffeggiare puttane poco collaborative e rapinare malcapitati passanti, dall'altro non sembrano aver minimamente placato i loro demoni interiori.

Come testimonia l'introduzione del disco, in cui Sticky medita addirittura il suicidio (sì vabbé come no... Chiunque penserebbe a farla finita una volta arrivato al punto in cui può permettersi megaschermi da 120 pollici, auto sportive, caviale a colazione e quelle tre-quattro cose che tutti i rapper sognano da bambini...) in un surreale dialogo con se' stesso. Del resto, direi che titoli come "Getto Mentalitee", "Shout", "Live Niguz", "I Murder U", "Last Dayz" (la mia preferita) e "Evil Streets", si commentano da soli. Unici cambi di tono: il cantato RnB (sì, avete letto bene!) di "Purse Snatchaz" e, dal punto di vista contenutistico, la dura rivendicazione d'orgoglio razziale di "2 Wrongs". Intendiamoci, niente di trascendentale. I tre ragazzacci di South Jamaica non si mettono certo a parlare alla folla, portando come argomentazioni profonde analisi socio-politiche e smontando avvenimenti storici riguardanti la comunità afroamericana (quello era Marco Z... O Macho Y... O come diamine si chiamava...). Dimostrano però che ogni tanto (ma proprio TANTO), sanno anche guardare un po' più aldilà del loro quartiere.

Che altro dire? Beh per i poco perspicaci forse, che questo è uno di quei dischi da recuperare senza se né ma, consumare più e più volte e regalare a tutti gli amichetti. Sempre che non siate degli stramaledetti bichassniguz. In tal caso vi consiglio di iniziare a correre, e sperare di essere più veloci delle raffiche di proiettili che son già state indirizzate verso le vostre chiappe.

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