Gli Open Hand sono una band californiana, proveniente precisamente da Hollywood (ebbene sì!), composta, nella sua prima incarnazione da Justin Isham (voce e chitarra), Michael Anastasi (basso), Beau Burchell (chitarra) e Alex Rodriguez (batteria).

Il loro stile musicale appare inizialmente molto ancorato alle sonorità punk-rock, power-pop e simili, non discostandosi poi tanto dal marasma di gruppi che popolano il genere, ed è ancora piuttosto ordinario e "scolastico" rispetto alle influenze che nel giro di pochi anni ne personalizzeranno il sound. "The Dream" è l'esordio del quartetto risalente al 2003, ben lontano da quella che sarà la miscela stilistica del suo travagliato successore "You And Me", ma già velato di quella sottile malinconia che ne pervade le note, inasprita spesso da rabbiose escoriazioni vocali e chitarristiche. In un panorama sonico ancora abbastanza banale già si intravedono però le luci che porteranno il gruppo alla sua maturazione.

"The Dream" si apre con lo squillo di un telefono che precede la registrazione di una telefonata. È solo il primo di una serie di inserti parlati sparsi per tutto il disco. Parte quindi "In Your Eyes": gli Open Hand pigiano subito forte sull'acceleratore è percorrono in appena due minuti e mezzo un'autostrada fatta di riff grintosi, vocalizzi rabbiosi e melodiose aperture nel refrain. È il pezzo più energico di un disco che fa invece dei momenti di riflessione la sua vera anima. L'intro acustico di "Life As Is" ci riporta subito in quella che è la vera dimensione del lavoro. Il pezzo poi prosegue con accelerazioni punk-rock melodiche e si sviluppa su un canovaccio compositivo abbastanza rodato, tipico di molti brani qui presenti: andamento sostenuto ma mai al fulmicotone, poderosi e continui stacchi di chitarra (che in certi momenti ricordano addirittura James Iha degli Smashing Pumpkins, in lavori come "Siamese Dreams" e "Gish"), batteria percussiva e spesso in controtempo (ottimo il lavoro di Rodriguez), improvvise apparizioni acustiche, voce che canta disperata, preferendo però gli impasti vocali alle urla, presenti giusto in un paio di pezzi.

Il diamante è ancora grezzo e molte canzoni finiscono per assomigliarsi: "11th Street", "This Is The End", "Thought Process". Ci sono comunque variazioni di rilievo rispetto alla norma: "The Struggle", aperta da un coro di voci primordiali che si sviluppa in un brano dalla struttura molto varia, con alternanza di parti riflessive e più rabbiose; "Radio Days", in cui appaiono anche innesti elettronici, "Forever", la cui melodia semplice si infila subito in testa. La title-track è poi l'episodio musicalmente ed emotivamente migliore del disco, ed è la canzone che più anticipa ciò che sarà "You And Me": fraseggi acustici si alternano a chitarre in distorsione, in una continua tensione sospesa che non raggiunge mai un culmine ne un rilascio, fino al ritornello, di superba intuizione melodica, e poi quel finale dove la musica scompare e ci si ritrova ad ascoltare solo le voci che si abbracciano, prima di udire un temporale, e possiamo quasi scorgere le gocce di pioggia che scendono sul vetro della finestra...

Il disco si chiude con "Never Alone", il brano più lento del lotto che si apre con delle voci di bambini che giocano e si chiude per lasciare spazio ad una "Ghost Track"... solo che il disco non è ancora finito. Il brano conclusivo è infatti "6/26" che si ricollega musicalmente all'impatto provocato da "In Your Eyes" e rappresenta un finale insolito per un orecchio che forse si era già congedato con la canzone precedente.

Disco crisalide per un gruppo che ben presto si trasformerà in farfalla, o forse cambierà completamente specie di appartenenza...

Carico i commenti...  con calma