E' il 1996... è un periodo d'oro per il doom/death mondiale. Sono appena usciti i dischi che faranno la storia di questo genere: "The Silent Enigma" degli Anathema, "Draconian Times" dei Paradise Lost, "Brave Murder Day" dei Katatonia, "The angel and the dark river" dei My Dying Bride... è tempo di sbocciare anche per questi giovani e timidi Opeth.

Un gruppo svedese (ancora una volta si ripresenta la Svezia, patria del metal più trascendentale e malinconico), che io considero tra i capisaldi della musica in generale e del metal nello specifico. Balza all'occhio la loro capacità di suonare con una tecnica ad alti livelli ed una vena compositiva ancora più straordinaria, in modo da sfornare canzoni nuove, sempre più lunghe e sempre più diverse senza mai riprendere spunti dal passato ma guardando solo verso il futuro.

Ora parlerò di "Morningrise", il loro lavoro più significativo a mio parere. Ancor di più di "Blackwater Park" e "Damnation", la perla d'avorio nella loro discografia.  E' composto solamente da 5 canzoni ma dura un' ora... un'ora di cambi di ritmo, suite abissali coordinate da assoli maestosi e growl che lentamente si dirada trasformandosi nella voce più calda e suadente che il nostro amato Mikael riesca a far sgorgare dalle sue corde vocali.

Si può definire un disco progressive/death, ma non mancano le interpretazioni doom e aggiungerei black in "Nectar". Si inizia con un'arpeggio leggiadro che precipita in un riff monolitico... è "Advent", che prosegue in un susseguirsi di emozioni in The night and the silent water: la più bella del lotto, forse anche per il valore emotivo che trasmette in quanto dedicata da Mike al padre.

"Nectar", di cui parlavo anche prima ci presenta sonorità molto tirate e veloci che danno una sterzata di pesantezza al disco finora cullato tra melodie grezze e arpeggi delicati. "Black Rose Immortal"... una sola parola: IMMORTAL! Questa canzone, sì, è immortale. Non smette di far rifelttere in tutti i suoi 20 minuti di durata passati in un'estasi da musica mai provata finora (forse in Shine on You Crazy Diamond dei Pink, ma si parla di altri tempi). Al primo ascolto potreste carpirla come una song scassapalle, troppo lunga e densa da poter essere ascoltata da un orecchio giovane e voglioso di adrenalina... ma è lapalissianamente (libertà poetica di un' idiota sbronzo tale il sottoscritto) il contrario.

Se vi sedete sul divano di casa, chiudete gli occhi e vi create uno spazio vostro dove stare in solitudine ad ascoltare questa canzone senza che nessuno vi possa disturbare, e nell'arco del giorno è molto difficile che questo possa capitare, potrete godere appieno della bellezza di questa creazione! Dopo aver provato così tante emozioni tali da non volere più provare il bunjee jumping organizzato dai vostri amici, arrivate alla fine, con l'analgesico che vi renderà dolce questa pillola tetra e cupa.

"To bid you farewell". Una song lenta, dannatamente prog, in cui si prova a chiedere scusa per gli errori commessi, ingenuamente ed inconsciamente, e che hanno cambiato profondamente la nostra vita... per sempre.

Come questo cd!

Una volta ascoltato non ve ne pentirete, magari ci sono altri lavori degli Opeth più brevi e facilmente assimilabili, però mi chiedo perchè scegliamo sempre la via più facile, quando quell'altra, sebbene più scoscesa e pericolosa, sia più soddisfacente una volta percorsa. 

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