E con questa concludo il ciclo di recensioni dei primi tre album degli Opeth. Trattasi del disco che più mi ha impressionato fin dal primo ascolto, molto più maturo dei primi due; tanto la produzione quanto il Growl di Akerfeldt sono decisamente migliorati.

MAYH fa categoria a sé, nel senso che non appartiene né alla prima fase, ultracreativa ma “acerba”, rappresentata dai primi due lavori, né è però assimilabile al sound di Blackwater Park e Still Life. E’ un’isola felice e terribile al tempo stesso, caratterizzata da liriche fantastiche su cui si snoda una ghost-story avvincente e sinistra e da una copertina altamente suggestiva con quel blu del cielo così profondo che, chissà perché, mi ricorda sempre “ April Ethereal”. Quest’ultima io la considero il pezzo più bello degli Opeth (tenete in considerazione che non ho ancora ascoltato Still Life e Deliverance). Trattasi di eccezionale song. Il drumming è al limite del credibile, eppure spontaneo e mai sforzato; su di esso le chitarre disegnano un’armonica eccezionale, così robusta e continua che sembra di scorgervi la presenza dell’organo, ma è solo apparenza, sono proprio le sole elettriche di Akerfeldt e Lindgren. Grandi, Grandissimi!! Il Growl di Mike, poi, è il migliore in assoluto, potente, deciso, denso e soprattutto profondo. L’incipit è veramente apocalittico, poche volte ho ascoltato un tale intensità capace di piegarsi senza romperesi alle esigenze dell’armonia e della lirica. "When" è quasi dello stesso stratosferico livello, appena un gradino più giù. “Credence” porta a maturazione i semi di “Bid You Farewell”. "Karma", ancor prima del quasi inutile epilogo, segna la fine della storia con un growl prolungato di straordinaria intensità. Da segnalare anche i due Bonus Track, di ottimo livello, in particolar modo "Remember Tomorrow".

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