PER TUTTI:
Tornano gli OG, e non c’è molto da dire, ci hanno abituato a dischi potenti e lineari e questo non fa differenza.
Canzoni semplici, riff graffianti, batteria che pesta e bla bla bla…..
Insomma, come per tanti altri gruppi immobili da anni, se li avete sempre amati non smetterete di certo adesso…..
La semplicità e la coerenza pagano ecc ecc……
PER IL SOTTOSCRITTO:
Non li riconosco più, i miei Orange Goblin.
Anzi a dirla tutta non riconosco più neanche tanti addetti ai lavori dello stoner.
Ho letto recensioni entusiastiche di questo cd e veramente non me ne capacito.
Era il 1998 quando li scoprii quasi per caso, con “Time Travelling Blues” fresco di stampa ed un esordio passato quasi in sordina nel cassetto; lo comprai perché mi intrigò la copertina e scoprii un disco (ed un gruppo) potente, (abbastanza) originale, coinvolgente.
Da li in poi un crescendo di emozioni, dal meraviglioso e doom-oriented “The Big Black” al punkettone “Coup de Grace”, via via fino agli ultimi lavori, poi in un calando lievissimo eppure ininterrotto.
Dischi buoni gli ultimi, sia chiaro, ma non a livello di quelli citati.
Certamente non ha giovato la fuoriuscita di Pete O’Malley nel 2004, secondo chitarrista in grado di tessere trame molto interessanti che hanno caratterizzato gli anni d’oro, per così dire.
Il nuovo corso è stato distinto da canzoni molto più canoniche e a volte scontate, soluzioni che sanno di deja-vu che non ti aspetti, e questo è male.
Lasciata indietro la voglia di sperimentare e di proporre canzoni intricate (mai all’accesso), i nostri prendono come faro illuminante la band di Mr. Kilminster e si buttano a capofitto a suonare nudi e crudi, spigolosi e potenti, cercando sempre il ritornello che dia respiro al brano.
E anche stavolta niente di nuovo sotto al sole, ma un disco di sapiente hard rock/stoner che potrà fare la felicità di parecchi estimantori del genere, anche con il sovraffollamento odierno.
Personalmente, amando i lavori più intricati e ragionati, mi sono trovato un pò deluso dall’ennesima raccolta di canzoni che tanto mi sanno di già sentito e che mi trasmettono sinceramente poco o niente.
Pochissimi i picchi significativi, tra cui la tenebrosa “Demon Blues” o la furiosissima “Sabbath Hex”, ottima per fare headbanging in compagnia, ma quanto al resto mi trovo ad ascoltare senza provare più di tanta soddisfazione, e questo sinceramente non me l’aspettavo da un gruppo simile.
Non nomino nemmeno la copertina, veramente orribile, mentre musicalmentesono di fronte ad un continuum troppo omogeneo degli ultimi lavori, come se oggi bastasse svolgere il proprio compitino tanto da prendere un 6 stiracchiato per essere promossi.
La voce di di Ben Ward è ormai quella di un cane inferocito che abbaia alla luna, chiara evoluzione dovuta agli eccessi dei tour; meraviglioso sentire che su “Frequiences from Planet Ten” era quasi pulita, poi disco dopo disco si è progressivamente logorata fino a diventare quella che è oggi.
E’ chiaro poi che ci ritroveremo tutti insieme seminudi, quasi totalmente inconscienti e completamente devastati a pogare e farci del male in uno dei loro concerti, quelli si ancora veramente imperdibili!
Per il resto spero con tutto il cuore che abbandonino la birra e tornino ai magic mushrooms, perché abbiamo ancora tutti un bisogno disperato di loro, nella forma migliore.
Tracklist:
1. Sabbat Hex
2. Ubermensch
3. The Devils Whip
4. Demon Blues
5. Heavy lies The Crown
6. Into The Arms Of Morpheus
7. Mythical Knives
8. Bloodzilla
9. The Abyss
10. Titan
11. Blood Of Them
12. The Shadow Over Innsmouth
Line-up:
Ben Ward : Voce
Joe Hoare: Chitarra
Martyn Millard : Basso
Chris Turner : Batteria
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