Porca miseria che botta... 

Non mi sarei mai aspettato un'ondata del genere, che mi facesse muovere quel cazzo di piedino sotto la sedia ad ogni secondo come solo le band degli anni d'oro del rock sapevano fare...quel groove maligno e sguaiato che non ti da tregua, avete presente? Beh... Healing Through Fire ne è pieno zeppo.

Gli Orange Goblin oramai costituiscono insieme a band come High on Fire, Grand Magus, Alabama Thunderpussy e compagnia stonata la frangia più importante dell'odierna scena heavy.

Già da subito si intuiscono le intenzioni telluriche della band, dalla prima traccia, "The ballad of Solomon Eagle", che smuoverebbe anche Golia tanto è impetuosa nel suo avanzare fiero e possente. Si prosegue con la più classica "Vagrant stomp", che con il suo riff prettamente sabbathiano e con il suo cantato al limite del Lemmy più sbronzo rinverdisce i fasti di quel proto metal settantiano che fu di Black Sabbath e compagnia.

Bellissima "The ale house braves", che ricorda non poco i migliori Led Zeppelin, soltanto con un bel po' di Marshall in più.

Ed è qui che arriva il primo picco dell'album: la splendida mazzata doom che risponde al nome di "Cities of frost"... pachidermica e schiacciasassi, farebbe impallidire gli ormai dispersi nel mare di acido Electric Wizard; bellissimo il ribassamento centrale dove il tutto cala in un'oscurità cerimoniale difficile da essere emulata altrove, prima della successiva botta devastante a base di riff ultratellurici e rocciosi, e di un finale che definire sludge è poco.

Come non citare ancora la successiva quinta traccia, piena di quei riff doom settantiani e di quelle atmosfere malsane ed oscure che piacciono tanto a noi, e carica emotivamente all'inverosimile, o la bellissima e acustica "Mortlake" che spezza prima della mazzata finale in cui si raggiunge il picco forse più alto toccata dai Goblin sino ad ora: la monumentale "Beginners guide to suicide" (sia per mole sonora prodotta che per durata rispetto agli altri brani)... da urlo la parte centrale con quell'assolo di armonica che fa molto southern avvicinandoli non poco ai vecchi Alabama Thunderpussy (quelli nuovi sono ormai lontani dal southern, e visto i risultati viene da dire meglio così!).

Beh l'avrete capito... questo è un album impregnato di sudore e fango, ma anche di cuore ed anima che trasuda quella giusta dose di rock n'roll per farlo diventare un vero e proprio must.

Un whiskey per favore...

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