Due adorabili signori con le lucine sugli occhiali fanno saltare la gente in tutto il mondo, e vanno avanti così ormai da trenta anni abbondanti. Era il lontanissimo 89 quando Chime fece conoscere gli Orbital al mondo, perlomeno quello abbastanza underground legato alla scena rave inglese, da allora quella degli Orbital è stata una lunga corsa, tra abbandoni e ritorni, qualche episodio meno riuscito, ma molti davvero memorabili. Fanno ormai parte dei grandi della musica elettronica, da molti ritenuti i figli illegittimi dei Kraftwerk, e come loro hanno sempre avuto una predilezione per grandi show live. Dopo un album che non ha convinto proprio tutti, i fratellini Hartnoll sono tornati per celebrare il trentesimo anniversario della loro straordinaria carriera, e lo hanno fatto con un doppio diverso dal solito greatest hits. Thirty-Something include tre inediti, sei rivisitazioni e ben 14 remix curati da una scena di giovani producer, come una sorta di cambio generazionale. La missione non è semplice, visto che parliamo di reinterpretare classici come Belfast, la stessa Chime e Halcyon!
Il primo disco si apre con gli inediti del duo: Smiley è un omaggio nostalgico al periodo rave, con breakbeats molto retro che rimandano subito alla jungle e gli anni 90. E' un brano che porta la tipica firma dei fratellini, vorticosi synth, acid line 303, sample invertiti in looping che costruiscono ipnotiche strutture. Acid Horse è probabilmente una variante di Omen che Paul Hartnoll non è mai riuscito a completare, si tratta di poco più di un divertissement di samples che si lascia ascoltare senza troppi sbalzi, è il classico episodio ironico che non può mai mancare in un album degli Orbital. Where is it Going? è un brano ben noto, ma questa nuova versione aggiunge la voce del compianto Stephen Hawking. Le edizioni 30-Something dei loro vecchi classici sono invece rielaborazioni in studio delle incarnazioni live, sempre diverse dai dischi e ricche di sorprese, purtroppo però il loro effetto in questa raccolta è limitato: Halcyon - per ovvie ragioni - non può contare sui sample di Belinda Carlisle e Bon Jovi, un momento ormai topico dei loro show, mentre Impact: 30 Years and The Earth is Still Burning non ha la voce aggiunta di Greta Thunberg, anche se è una nuova incarnazione particolarmente intensa, con un finale potente. Satan ha perso sempre più forza dalla versione originale, passando dal metal, alla dubstep, l'EDM e mille altre cose. Non può mancare la leggendaria Chime, rivisitata in un modo più heavy, esattamente come la versione dal vivo.
Il secondo disco è tutto dedicato ai remix, molti dei quali sinceramente superflui. Molti tentativi suonano come pallide copie, anche se si lasciano ascoltare. Ci sono però quattro eccezioni da segnalare, tutte legate a nomi che si fanno rapidamente strada sopra agli altri. I Dusky interpretano Are We Here? in modo sublime, rimanendo coerenti con il loro stile, che non a caso è decisamente compatibile con quello degli Orbital. A lasciare proprio di stucco è John Tejada, che trasforma Impact in una corsa irresistibile, ricostruisce a modo suo anche i lead synth e spara un groove veramente scatenato, tra bassline rotolante, la TB-303 a palla e chi più ne ha ne metta. Otto minuti da urlo. Lone non ha bisogno di presentazioni, ma mi ha subito colpito la sua presenza nel progetto; sapete tutti che sono sempre di parte con quest'artista, ma la sua interpretazione di The Girl With The Sun in Her Head è magica, ricostruisce quasi tutti gli asset e li reinterpreta con il suo inconfondibile stile, terminando con una lunga parte ambientale, che vede le tipiche note del brano trasfigurate nello stile dell'era di Galaxy Garden. Doppia libidine coi fiocchi. Menziono per ultimo David Holmes, che ci regala la sua interpretazione di Belfast, 12 minuti che passano in un baleno e ti lasciano la voglia di volerne ancora, non supera l'originale, ma è un tributo da togliersi il cappello. Decisamente migliore di un greatest hits, Thirty-Something aggiunge un bell'inedito del duo, rivisitazioni apprezzabili, anche se un po' limitate rispetto alle controparti live, e una pletora di remix non tutti necessari ma che presentano un quartetto di stand outs da non sottovalutare.
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