Dietro al monicker Orcas, progetto patrocinato dalla Morr e poggiante le proprie basi a Seattle, si nascondono il compositore Rafael Anton Irisarri e il cantautore/polistrumentista Benoit Pioulard. Ben più che una semplice collaborazione estemporanea, il progetto approda al suo secondo lavoro “Yearling”, dopo che l'omonimo debutto di due anni fa aveva saputo suscitare interesse e lusinghe nei salotti della musica bene. Con questa uscita del 2014 Irisarri e Pioulard riescono ad amalgamare ulteriormente bene le componenti che contraddistinguono i rispettivi percorsi e confezionano quello che probabilmente sarà il disco dream-pop dell'anno.

Che ci troviamo ben al di sopra della media, lo si capisce fin dalle ispirate partiture dell'introduttiva “Petrichor”, visionario ambient che fa venire in mente certe atmosfere care ai Cure di “Disintegration” quanto il Badalamenti più sognante: degna premessa per un album fatto di suoni liquidi in bilico fra uno spleen decadente di ottantiana memoria e i rigurgiti elettrici tipici del decennio successivo, che certo non dispiaceranno agli amanti dello shoegaze nella sua forma più classica (richiamato più negli umori, che nelle impetuose stratificazioni sonore, in effetti pressoché assenti). Rimarranno dunque soddisfatti i fan di Slowdive, Low e Sigur Ros, sebbene la musica qui riprodotta non sia esattamente riconducibile a questo o a quell'artista.

L'incipit della prima vera e propria canzone (nonché singolo apri-pista) “Infinite Stillness” provoca un vero tuffo al cuore, fra i bit secchi e lo svolazzare malinconico di pastose tastiere, presto raggiunte dal canto sommesso di Pioulard. La successiva “Half Light”, altra rarefatta pop-song che evoca lo "stupido sogno" dei Porcupine Tree, è magia allo stato puro, con un ritornello che nella sua semplicità sa toccare le corde più profonde dell'anima (“It's haunting me in the way things do when they are gone / It's killing me in a way I can't do on my own”). Basterebbe questo terzetto di tracce iniziale per mettere in ginocchio l'ascoltatore più disposto ad arrendersi innanzi al libero fluire delle emozioni messe in musica dal duo. Scenari crepuscolari fatti della materia stessa dei sogni: un viaggio onirico attraversato dalla luce rossa-arancio ed obliqua di un sole al tramonto, che lento annega dietro la linea dell'orizzonte, fusione fra un mare ed un cielo che sono lo specchio l'uno dell'altro.

Sospese fra intimo cantautorato ed elegante “musica d'arredamento”, le composizioni successive si succedono fluide all'insegna di una evanescenza che confonde l'introspezione con il romanticismo più seducente. Vuoi che prevalga la canzone nel suo formato canonico (la talktalkiana “Capillaries”, a base di piano e suoni riverberati; il bozzetto pinkfloydiano della folkeggiante “An Absolute”), vuoi il pathos della dimensione ambientale (gli otto minuti della conclusiva “Tell”: una strumentale nella quale convergono le aspirazioni cinematiche di Irisarri e le derive droniche, quasi fennesziane, della chitarra di Pioulard). A metà strada, troviamo due episodi smaccatamente depechemodiani quali “Selah” (per tre quarti strumentale dal passo minimal-electro, arricchita solo nella parte conclusiva da vocalizzi eterei) e “Filament” (forte di maestose orchestrazioni scandite da solenni rintocchi elettronici): pop d'autore che non sfigurerebbe affatto in un album capolavoro come “Violator”.

In soli quarantaquatto minuti ed otto brani, i due autori danno forma alla loro raffinata visione artistica, fatta di immagini dai colori tenui, sfocati e dai contorni sfilacciati: un connubio di talenti in perfetta simbiosi che speriamo possa avere una felice prosecuzione.


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