Personalmente aspettavo un lavoro del genere da svariato tempo: con trepidazione, con ansia, con speranza. E' quel fulmine a ciel sereno che se hai vissuto a "pane e Black Sabbath", ti scuote e ti fa tornare ai suoni torbidi delle cantine puzzolenti di Iommi. Perchè i Black Sabbath hanno influenzato profondamente (forse troppo) un intero mondo musicale: quello che rifacendosi ai primi vagiti di Led Zeppelin e Deep Purple ha poi partorito un universo oscuro, leggendario e intriso di misticismo che ha costituito la fortuna e la caratteristica distintiva della musica metal degli esordi.

I californiani Orchid, sono uno dei tanti act nati nell'immaginario estetico, stilistico e musicale del Sabba Nero. Quindi proposta poco originale? Se rimaniamo all'interno delle etichette e dei generi la risposta è inevitabile e affermativa, sebbene questi quattro loschi figuri riescano anche a prendere qua e la dai conterranei Kyuss e dal doom meno esasperato e più "vintage" (i texani The sword possono essere esplicativi in questo senso). Quello che riesce a sorprendere di "Capricorn", primo album in studio (febbraio 2011), è la qualità intrinseca dei brani, ma anche la conoscenza della materia. Gli Orchid ci sanno fare eccome e nonostante il riciclaggio sabbathiano riescono a tirar fuori dei pezzi avvincenti, vari e marci quanto basta. "Eyes behind the wall" è il biglietto da visita con il suo heavy metal inzuppato di reminescenze settantiane: interessante constatare, oltre alla prova dei musicisti, il timbro vocale di Theo Mindell, finalmente un singer che sembra avere un'idea personale su come interpretare il genere, senza per questo fare il verso ne a Messiah Marcolin ne a Ozzy.

Tutti i nove brani del cd sono di notevole fattura, incastonati in quell'atmosfera di hard 'n' heavy perduto che non guasta mai. Dal ritornello della titletrack, all'incedere solenne e pachidermico di "Black funeral", dall'intro fungoide di "Down into the earth" (NIB?), al doom di "He who walks alone" per finire con lo space stoner/doom di "Cosmonaut of three": tutto emana il maledetto profumo del misticismo degli anni '70. A completare il quadro arriva infine anche il pezzo mancante: la psichedelia preistorica della ballad conclusiva "Albatross", suggello finale su un lavoro quasi perfetto.

"Capricorn" è un capitolo che qualsiasi amante del doom deve cercare di procurarsi, perchè riesce a riproporre con suoni moderni e con una concezione più "pulita" la musica di band quali Black Sabbath, Saint Vitus e in parte minore dei Kyuss. La critica maggiore che si muoverà a questo lavoro è la sua propensione a rivedere troppo nel passato, senza innovare, senza apportare nulla di nuovo ad un genere già di per se "antico" e stantio. Tutto vero: ma "Capricorn" è uno dei migliori lavori di "revival doom" degli ultimi anni. Onore a loro.

1. "Eyes Behind The Wall" (7:13)
2. "Capricorn" (4:40)
3. "Black Funeral" (6:28)
4. "Masters Of It All" (6:37)
5. "Down Into The Earth" (6:25)
6. "He Who Walks Alone" (6:49)
7. "Cosmonaut Of Three" (5:44)
8. "Electric Father" (7:20)
9. "Albatross" (5:54)

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