La versione fetish/sadomaso dei Death in June. Questa è un po' l'idea che ci si fa ascoltando questo "Conquest, Love & Self-Perseverance". Niente più, niente meno. Ciò può apparire riduttivo, ma almeno si capisce subito dove si va a parare.
Non voglio con questo sminuire gli svedesi Ordo Equilibrio, che senza dubbio sono da annoverare fra gli esempi più pregevoli della seconda ondata di folk apocalittico, innalzatosi (o meglio abbassatosi) oramai a genere. E' mia intenzione sottolineare, piuttosto, che con il passaggio di testimone dalla vecchia alla nuova guardia, qualcosa é andato indubbiamente perso. Qualcosa d'importante.
Per quanto controversa e criticabile in certe sue scelte stilistiche e concettuali, la prima scena, quella capitanata da Death in June, Current 93 e Sol Invictus, aveva costituito pur sempre l'espressione di un'urgenza artistica ed aveva potuto brillare di una certa profondità di riflessione ed una certa sensibilità nel maneggiare temi a dir poco delicati (e che a volte, c'è da dirlo, sono sfuggiti di mano anche ai grandi).
I successori, a parer mio, si sono limitati (come del resto sempre succede) a cogliere gli aspetti più superficiali della musica e dell'attitudine dei loro maestri. Difficile percepire e riconoscere, in lavori come questo, la tensione, la fragilità, il travaglio esistenziale, il pathos epico, il coinvolgimento autobiografico, lo sguardo sbigottito innanzi alla realtà che caratterizzano invece opere come "But, What Ends when the Symbols Shatter?", "Of Ruine or Some Blazing Starre" o "Trees in Winter".
Molte certezze sembrano invece avere queste nuove leve, forti di un elitarismo, di una misantropia e di un superomismo che a tratti fanno un po' sorridere. Un atteggiamento, questo, che appare più come una posa che altro, e che in nessun modo viene supportato da una solida weltanschauung, da una visione penetrante del mondo, della vita, dell'uomo, della cultura e della società. Un vuoto di pensiero che si viene poi inevitabilmente a tradire nello sguardo da coglioncello dell'artistoide di turno, ritratto nell'immancabile foto del booklet, in mimetica o in chissà quale geniale travestimento da lui non inventato.
Tutto sommato, dato il contesto, la proposta di Tomas Pettersson non è affatto male, ed in un certo senso riluce di una propria identità e di una propria ragion d'essere, capaci di conferire all'entità Ordo Equilibrio dei confini ben definiti ed un valore differenziale rispetto al resto della scena.
L'idea di Pettersson sta essenzialmente nell'aver iniettato nel corpus sonoro del genere una bella dose di perversione, allestendo tutta una serie di atmosfere ed ambientazioni malsane, a sfondo rigorosamente sessuale e sadomasochistico, dall'indubbio fascino. Le mimetiche, in questo caso, sono scalzate da pantaloni di pelle e frustino, ma per il resto, si viaggia su coordinate ben note da tempo.
I giri di chitarra, per intenderci, sono quelli scarni e ripetitivi che il genere richiede, come del resto tipici sono gli essenziali contrappunti di tastiera e le incursioni industrial/marziali. Ciononostante, il tutto viene sapientemente colato in un contesto ancora più minimale, ipnotico e torbido, merito soprattutto del recitato sensuale di Chelsea, alter ego femminile di Pettersson, che si va a fondere all'unisono con quello oscuro del leader stesso, in una angosciante quanto paranoica cantilena.
Chitarra in loop, tastiere in loop, effetti in loop, le stesse frasi ripetute, le parole appena accennate, i cupi fraseggi ambient: sembra che l'intento sia quello di ricavare il massimo dal minimo, di ridurre il più possibile lo sperpero di energie.
Lo sforzo artistico, seppur esiguo, porta tuttavia a buoni risultati: se è vero infatti che il songwriting non è dei più brillanti, le atmosfere, fra il decadente ed il morboso, sono allestite e confezionate con gran cura ed attenzione, cosicché le song, pur simili fra loro e monotone nell'avvicendarsi, sono i grado di emanare, nel complesso, un fascino innegabile.
Inutile quindi stare a segnalare un episodio piuttosto che un altro: oscure folk-ballad si alternano ad ossessivi intermezzi industrial/ambient, andando a comporre un lugubre e voyeristico continuum in cui si va a celebrare la sessualità più libera e trasgressiva, ed al tempo stesso la sua negazione, dato che la sessualità viene (inconsapevolmente o meno) declassata e spogliata di ogni connotazione affettiva ed umana.
I colpi di frusta, di fatto, si confondono con i rumori ripetitivi delle macchine e con il rimbombare ossessivo dei tamburi da guerra, in una concezione della sessualità come atto meccanico, riflesso incondizionato, animalesco, che diviene umano solo nell'atto di possesso e di conquista, nell'atto di punire o premiare, nella sterilità della violenza e della perversione.
Un impeto che muore e si annulla nel non-scambio implicito nella meccanica complementarità fra dominio e schiavitù. Un rito orgiastico che, lungi dall'assumere i toni libertari dell'emancipazione della morale sessuale stessa, diviene implosione, mancato appagamento, metafora della disumanizzazione e della alienazione della società contemporanea.
Un'insoddisfazione perenne, una "impotenza attiva" e distruttiva che porta all'accrescimento del bisogno ed ad un'ulteriore accanimento sulla preda, in un annichilente circolo vizioso che non può che sfociare nell'annullamento completo, di sé e degli altri.
Un lugubre procedere che, fra atmosfere gotiche e rintocchi di campana, gioca anche sul confine fra sacro e profano, come a voler rimarcare l'avversione più netta alla visione ipocrita e bigotta della morale cristiana nei confronti della sessualità.
Il tutto condito da altisonanti sentenze sul Mondo, sull'Uomo, sulla Vita, su Tutto, che vanno a sottolineare la spocchia infinita di Pettersson.
Che dire, se vi siete stancati di mettere sul piatto i vostri dischi oramai consumati dei Death in June, questo "Conquest, Love and Self-Perseverance" (che fra l'altro costituisce l'ultimo colpo messo a segno dalla band prima del tracollo totale in seguito alla defezione di Chelsea e al tramutamento in Ordo Rosarius Equilibrio) può risultare davvero una piacevole variante. O, per lo meno, il sottofondo ideale per le vostre trombate più romantiche (sempre che la vostra signora si sia stancata del disco degli Immortal che ogni volta le propinate!).
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