Mi immagino il freddo invernale della Finlandia, quelle distese innevate che colmano l'orizzonte. Il sole che spunta timido e pallido, il vento sferzante, l'aria immobile e immutabile di uno scenario fantastico. Sulla scogliera un pub, suonano una band, gli Orne. Pochi li conoscono, ancora meno sanno che hanno alle spalle già un altro album. Il loro nome si perde nei polverosi studi di registrazione. Una band di nicchia per un genere di nicchia.
Il tempo di assaporare qualche boccale di birra, il tempo che basta per lasciarsi ammaliare dall'apertura "Angel eyes", preludio a "The temple of the worm": nella mente già annebiata dall'alcool si materializzano i fantasmi dei Pink Floyd, dei Van Der Graaf Generator, le ombre oscure dei Black Widow.
Appena assimilate le variazioni dei 12 minuti di "The temple of the worm", che si manifesta di nuovo la classe compositiva degli Orne con "The return of the sorcerer", in cui i disegni perduti dell'antico prog rock compiono il matrimonio perfetto con un folk sotterraneo, nordico, necessario.
Il pub è ormai invaso dalle note del gruppo: le loro evocazioni lasciano immobili, l'atmosfera "rilassata" dei pezzi contribuisce ad ammorbidire l'aria gelida. "Don't look now", "Beloved dead", "I was made upon waters", preghiere agli Dei nordici, monologhi da riversare nel vento artico. Il sogno che diventa realtà nelle semplici note di un prog rock, dalle tinte folk e psichedeliche. La semplicità e la forza di una musica che continua a sopravvivere a fatica.
Il viaggio finisce, il freddo è ormai insopportabile, ma la mente torna attiva: giusto il tempo per capire che il Kimi Karki (chitarre, voce e mellotron) degli Orne è lo stesso dei progetti Lord Vicar e Reverend Bizarre.
Fa ancora freddo, l'oscurità copre ogni cosa. E' tutto perfetto. Il viaggio riparte.
1. "Angel Eyes" (3:15)
2. "The Temple Of The Worm" (12:10)
3. "The Return Of The Sorcerer" (7:41)
4. "Don't Look Now" (8:42)
5. "Beloved Dead" (5:46)
6. "I Was Made Upon Waters" (6:53)
7. "Sephira" (5:22)
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