Più che una recensione, una segnalazione spassionata.
Vi sono certi dischi che, per il loro valore, estrinseco o intrinseco che sia, entrano di prepotenza nell'Olimpo della musica: altri, senza pretese, che si incolonnano diligentemente nella grigia ed anonima fila dell'aurea mediocritas, per obliterare uno slavato biglietto di sola appartenenza; altri ancora, che devono sopportare lunghi oblii e parecchi centimetri di polvere sulle custodie per essere tratti fuori dal loro letargo forzato ed avere finalmente giustizia. Fra questi ultimi, c'è chi non ha la forza e le caratteristiche necessarie per sopravvivere alla ferocia diacronica che tutto graffia e seppellisce, e ben presto scompare in silenzio senza lasciare traccia.
Basterà farsi un giro su Google per capire, in poco tempo, come il frutto del mio incontro con "Meccanizzazione" di Oronzo De Filippi sia stato del tutto fortuito: d'altro canto, come poter essere a conoscenza di un lavoro privo di riscontro nello Stivale, il cui artista è pressochè ignoto al linguaggio webmatico, citato in fretta e furia solo da un paio di bloggers anglofoni, del quale non si conosce neppure l'esatto anno di pubblicazione (collocabile, in ogni caso, nei Sixties), e distribuito, all'epoca, da una piccola etichetta già allora di culto, oggi scomparsa? Le informazioni sul materiale in questione sono talmente vaghe ed imprecise da non poter, almeno sotto un profilo storico, tratteggiarne un ritratto, seppur scarno, quantomeno fedele. L'unica fonte più o meno certa è che si ha di fronte una piccola colonna sonora, evidentemente di ben modesta importanza, adattata a suo tempo per un documentario sulle cause, gli effetti e le conseguenze del miracolo economico in Italia fra gli anni '50 e la prima metà degli anni '60 -e, si presume, ancora in pieno infuriare al momento della disamina cinematografica-.
La datazione, i titoli dei vari temi (si passa da "Architettura Industriale", a "Raffineria", a "Industria Metallurgica") e la destinazione della soundtrack farebbero pensare ad uno di quei primi embrionali esperimenti industrial-noise, inaugurati all'inizio del secolo dal futurista Luigi Russolo, totalmente rumoristici, che avrebbero poi influenzato, nel passare dei decenni, il pensiero e l'attività di una pletora di gruppi fra i più disparati. È grande la sorpresa, invece, nel trovarsi davanti una musica sì innovativa, sì rivoluzionaria, ma in un modo diametralmente opposto a quello inizialmente congetturato. Ambientazioni rilassanti, brevi segmenti (in totale il disco durerà 26 minuti) a metà strada fra il jazz dodecafonico, la bossa nova e quella primordiale estetica lounge così popolare in seguito. L'ideologia dell'after hour trova qui compimento con almeno trent'anni d'anticipo. Interamente strumentale, "Meccanizzazione" vive di un'eleganza sobria ma sopraffina: data per scontata l'irrintracciabilità dei musicisti all'opera, sono comunque ben apprezzabili i lievi volteggi cameratistici di "Architettura Industriale" (nella quale si può sentire, vivida come nell'originale, la puntina che legge i solchi del vinile), l'incalzare distonico, per sottofondo di pianoforte, in "Industria Metallurgica", i zeffiri sudamericani nell'intensa "Raffineria", i profondi travasi di organetto di "Chimica Industriale".
L'essenzialità è, in ogni caso, il punto di forza del disco: batteria, tamburi e marimba di chiara impostazione jazz, quasi inudibili nel risultato finale (se si esclude la coraggiosa e spigliata "Dinamica", quivi proposta in due versioni), si uniscono a semplici accompagnamenti di pianoforte e sintetizzatore, schematici ed, a tratti, quasi reclamistici. L'effetto è probabilmente voluto, se si considera la forte spinta propagandistica di cui godeva, in quegli anni, l'intera catena produttiva del nostro Paese. "Termomeccanica", la preferita per chi scrive, ticchetta per quasi tre minuti, gravitando attorno ad uno splendido afflato tastieristico, ed è simbologia perfetta della natura dell'intero lavoro. Tante colorazioni tenui che si irradiano ordinatamente dalle trame del pezzo, un po' come accade per il distinto artwork.
Buon ascolto.
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