Il film che c’è, senza mai essere esistito.

Esistono veri e propri miti che si alimentano negli anni, leggende che il sistema mediatico enfatizza e fa diventare CULT in maniera spesso involontaria, come il film di Federico Fellini mai realizzato (I Viaggi di G.Mastorna) o questo “Don Chisciotte” di Orson Welles.
Un film, quest’ultimo, iniziato nel lontano 1955 e quasi terminato alla fine degli anni 60; oltre 15 anni di riprese, interruzioni, cambi di scenari, location, pellicola (si passa dai 16 ai 35 mm) e addirittura protagonisti per un film senza fine che il celebre regista non vide mai montato.
Wells disse che per definirlo davvero finito, avrebbe dovuto filmare l’esplosione della Bomba Atomica che avrebbe distrutto tutto tranne i due protagonisti. Forse un alibi o un’abile scusa romanzata (tipica del regista) per evadere la domanda che da più parti gli veniva continuamente posta: “Quando finirà di girare Don Chisciotte?”.
Solo nel 1992 la moglie ereditiera di Wells, Oja Kodar, affiderà il materiale girato all’estro e alla cura di un altro regista, per altro spagnolo, tale Jesus Franco, specializzato in cinema horror e thriller.

Un film quindi montato postumo e senza direttive precise, visto che Wells non lasciò alcuna indicazione di montaggio, poiché la sceneggiatura si improvvisava continuamente e cambiò diverse volte nell’arco dei 15 anni. Un’operazione artistica quindi di non poche perplessità ma che, di fatto, è l’unico modo che abbiamo per vedere in forma semi-definitiva un film che diversamente non sarebbe mai nato.
Nato quasi per gioco (come ammise lo stesso Wells) partì da una sceneggiatura commissionata per una serie di documentari per la RAI italiana ma che, via via, si impossessò dell’autore fino a diventare la sua splendida ossessione.

Un film povero e nato in maniera rocambolesca dunque, tra set improvvisati e attori non pagati, girato con mezzi di fortuna e in situazioni più o meno avverse, interamente finanziato da Wells stesso che si vide rifiutare le sovvenzioni sia dalle Major Americane che dai produttori europei.
Irregolare, a tratti irrisolto direi ma con una potenza visiva davvero invidiabile, con un’iconografia di fondo che sembra ricalcare le immagini di Gustave Dorà nell’edizione stampata originale del Cervantes. Questo film ci parla del condottiero diafano e utopista e del suo fedele scudiero Sancho Panza, calando le eroiche gesta sfortunate in una Spagna contemporanea (quella che va da metà anni ‘50 ai ’60), trasformando così un minus produttivo (i costi altrimenti esagerati di una ricostruzione scenografica ad hoc) in una grande opportunità creativa: narrare le gesta di un Don Chisciotte che vive qui insieme a noi nella contemporaneità, tra motorini, corride, televisioni, missili spaziali e altri “mostri odierni” ben più temibili dei mulini a vento.
Un Don Chisciotte vivo e dissacrante, che si fa icona stessa delle sue gesta (belle le scene documentaristiche della gente dai balconi che riconosce stupita il Don Chisciotte, borioso sul cavallo, che passa davanti a piazze che ne riportano addirittura la stessa effige sui muri).

Film che definirei un capolavoro mancato per i troppi tempi morti e le troppe scene raccordate senza continuità o con dialoghi francamente ripetitivi al limite del noioso (consiglio comunque vivamente la visione in Spagnolo coi sottotitoli in italiano!) e comunque un film che ci restituisce l’amore smodato del regista per la Spagna e per le popolazioni latine in generale.

“Don Chisciotte” di Welles è un’opera riuscita a metà, diligentemente montata nella sua ipotesi più probabile ma che chissà cosa sarebbe invece diventata se solo il geniale regista americano avesse potuto metterci le mani nel modo e nello stile che solo lui sapeva confezionare. Ma si sa, la strada dei se pur essendo infinita ha sempre pochissima strada da percorrere e trova sempre il tempo che trova...

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