Un uomo solo chiuso nella sua stanza d'albergo, ha appena finito di scrivere pagine e pagine fittissimamente a matita; non sono appunti e lui non è un turista in un paese straniero, quelle pagine sono istruzioni e lui è in missione.
Guarda fuori e la festa del carnevale impazza, fra poco dovrà spingersi fuori anche lui con la sua troupe per filmare e fare contento il presidente, lo farà; ma preferirebbe essere da tutt'altra parte, possibilmente in sala di montaggio a visionare il lavoro sul suo nuovo lungometraggio; invece è in Brasile, sta girando un documentario, è triste e arrabbiato, continua a scrivere le sue istruzioni inascoltate e guarda il carnevale come chi ha gli occhi oltre, fissi dentro il proprio abisso.
Quell'uomo è Orson Welles.

“L'orgoglio degli Amberson” è il secondo lungometraggio del regista a seguire il suo capolavoro “Quarto potere”.

Questo film, girato con meno mezzi finanziari, risulta a mio avviso essere comunque degno se non superiore del suo predecessore per diversi motivi; alcuni semplicemente tecnici essendo la pellicola ancora piena di straordinari piani sequenza, grandangoli e profondità di campo, come asciugati però e resi più sobri e più equilibrati, dove in precedenza sconfinavano forse nella metodica esibizione di virtuosismo; c'è l'innovazione nel sonoro, con una profondità di campo mai sperimentata prima e la sequenza finale con i titoli di coda letti dallo stesso Welles, che è il narratore del film.
Altri motivi riguardano strettamente la vita personale e la carriera di Welles; questo è il film che gli chiuderà la porte di Hollywood e gli aprirà le porte di un cambiamento umano ed artistico dai risvolti apparentemente traumatici; seppur con pochi mezzi finanziari riuscirà comunque grazie al suo talento e genio a creare altri veri capolavori.

La vicenda raccontata nel film e la vita di Welles ruotano quasi in simbiosi intorno ad una situazione di cambiamento; la famiglia Amberson dopo la sua ascesa non riuscirà a tenere il passo dei cambiamenti epocali nella società americana con l'avvento dell'industrializzazione e Welles dal canto suo quasi rassegnato ad un altro probabile insuccesso e dal trattamento riservato al suo lavoro, sente che questo film porterà ad un cambiamento; è questo il suo stato d'animo mentre scrive le istruzioni su come montare il film a Robert Wise ( poi anche regista di successo con “West Side Story” e “Tutti insieme appassionatamente” ).

La casa di produzione RKO prese paura dopo le proiezioni test e volle rimontare il tutto; lo farà e taglierà 43 minuti in totale, con un finale diverso e più rassicurante ad opera del mediocre regista Freddie Fleck. Le sequenze tagliate sono andate perdute.

Film comunque potente e in alcune sequenze visionario e profetico che nella prima parte mostra la bellezza dell'incastro dei tempi cinematografici e della fotografia di Stanley Cortez, bellezza che verrà successivamente deturpata nel finale affrettato e buonista.

Un peccato, ma resta comunque un capolavoro.

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