Come già ebbi modo di dire a proposito di "Falstaff", Orson Welles è il William Shakespeare del cinema. Shakespeare era un genio letterario capace di innalzare a livello quasi mitologico la tragedia, portarla alle conseguenze più estreme e lasciarla lì, in sospeso, fra leggenda e realtà. Gli stessi metodi narrativi li seppe utilizzare magistralmente Orson Welles, quello che, forse non a torto, continuo a considerare il più grande genio della Settima Arte.
che Welles possa stare allo stesso livello di Shakespeare lo conferma "Othello", uno dei suoi innumerevoli capolavori: nessuno, prima e dopo, riuscirà a ricreare la stessa aurea epica e lo stesso passo leggendario parlando di Otello, Jago, Desdemona. Curiosamente però, fra i tanti Otelli realizzati e consumati, questo di Welles fu il più difficile da girare, a causa di una produzione limata fino all'osso e risorse finanziarie debolissime. In mano a qualsiasi altro regista sarebbe stato un flop, ma l'assenza di mezzi e possibilità stimolò ulteriormente la fantasia di Welles, tanto da decidere di girare fuori dagli Stati Uniti (dove venne sempre ostacolato, tanto che più di una volta gli Studios scelsero di boicottare i suoi film) e scelse come location il Marocco e l'Italia, girando gli interni a Roma.
Il risultato, come al solito, è eccezionale. La povertà dei mezzi permette a Welles di dare sfogo a tutto il proprio genio visivo, e così, le mezze luci sui canali veneziani, le monumentali inquadrature a campo largo (che servivano per ingannare lo spettatore: Desdemona è infatti interpretata contemporaneamente da Lea Padovani, Cécile Aubry e Betsy Blair), i sottili giochi d'ombra, le luci evanescenti ed il vapore. E' la povertà che fa aguzzare l'ingegno, e grazie a questa povertà Welles decide di incentrare l'intera vicenda, più che sul personaggio di Otello (da lui interpretato), sul personaggio di Iago (Michael MacLiammoir), una sorta di triste figuro, perso fra la bellezza da mozzare il fiato dell'artistica Venezia ed i rimorsi, i rancori, i drammi, che egli vive con straziante intensità. In questo modo, la tragedia di William Shakespeare non diventa nè effettistica nè magniloquente, diventa scura, intimista, povera ma essenziale, una disarmante essenzialità sottolineata con grande maestria dal funereo bianco e nero di Anchise Brizzi, G.R.Aldo, George Fanto, Oberdan Troiani ed Alberto Fusi.
Eppure, questo miracoloso "Othello", è anche un film profondamente moderno, capace di inventare tecniche di ripresa moderne ed efficaci. In tutto il film, 91' circa, si possono contare più di 1500 inquadrature diverse, mai una uguale all'altra, sostanzialmente una sorta di prodigio tecnico, una rivoluzione tecnica mai riuscita nemmeno ai grandi del cinema, da Chaplin a Ford, e che sarà uno dei più grandi crucci di Stanley Kubrick (grande estimatore di Orson Welles): quel record è ancora oggi ineguagliato, perchè i grandi film d'azione moderni, vedi "Terminator" o "Robocop", pur utilizzando più di 1500 inquadrature si vedono costretti spesso a ripetere la stessa ripresa. In "Othello" questo non succede: sono 1500 e sono tutte diverse l'una dall'altra. Una grande esplorazione tecnica, che permetterà a grandi registi venuti dopo Welles di andarsi a copiare le grandi innovazioni portate dal regista/attore americano. Senza contare i soliti arditi studi sulla profondità di camera, vera e propria ossessione wellesiana.
Ma al di là di questioni puramente tecniche (comunque di grande rilevanza) l'"Othello" di Welles è forse la più bella trasposizione shakesperiana di sempre, privo di qualsiasi sex-appeal moderno (alla faccia di quel trombone di Kenneth Branagh!), senza nessuna impostazione classicheggiante forzata (vedi Laurence Olivier), ma con la purezza e la semplicità dei grandi. Un "Othello" cupo e silenzioso, dove il senso della Vita e della Morte toccano vette assolute d'espressione artistica, come dimostrano le sequenze d'apertura e di chiusura (inizia e finisce con il funerale di Otello e della moglie).
Ci vollero due anni prima che Orson Welles riuscisse a realizzare il film, ma nell'ora e mezza scarsa della pellicola, le difficoltà produttive sembrano evaporare. Tutto è così perfetto, così preciso, così pulito, che sembra un film (quasi) normale.
Infine, un piccolo consiglio: chi volesse approfondire il tema Orson Welles e William Shakespeare (ci sarebbero milioni di analogie fra i due, ma per motivi di spazio non posso dilungarmi oltre), consiglio "L'incantesimo è compiuto: Shakespeare secondo Welles", un bellissimo saggio di Gherardo Casale. Sono quasi 300 pagine ma, se si è appassionati di cinema, si legge tutto d'un fiato. Perchè oltre a questo, Orson Welles da Shakespeare trasse anche un bellissimo "Macbeth".
Un genio, per l'appunto.
Recensione realizzata su richiesta del Punisher (se dovete, prendetevela con lui).
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