In questo 2019, ormai volgente al termine, un nuovo personaggio si è affacciato in modo prorompente alla ribalta musicale: Orville Peck.

Di lui non si sa molto: nato in Canada in un arco temporale compreso tra 20 e 40 anni fa, egli ha vissuto in posti differenti; cresciuto attore e ballerino, ha poi suonato in gruppi indie-punk e quest'anno è arrivato all'esordio sulla lunga distanza discografica.

Orbene, la sua figura non si può certo dire che non catturi subito l'attenzione con quel bizzarro misto tra Zorro e Myss Keta, ma è la musica e non la copertina, per fortuna, la cosa più interessante del suo album di debutto.

"Pony", questo il titolo del disco licenziato dalla gloriosa Sub Pop, è un termine che può avere molteplici significati con i suoi ganci con il mondo del Far West e con la cultura gay e la chiave dell'album sta proprio nell'integrare le primordiali basi tipiche del country americano con elementi esterni apparentemente inconciliabili.

Esso, più nello specifico, del country adotta lo stile, la propensione per languide ballate d'amore ma anche per grandi melodie ed epiche da prateria western.

Dentro le sue composizioni ci trovi, però, il trasognante incanto shoegaze, il pop inglese di matrice new wave e l'accento blues sepolcrale di scuola Bad Seeds, in cui il caratteristico timbro vocale baritono dell'artista mascherato ricorda Chris Isaak o Morrissey.

In conclusione, capire dove arrivi la malizia del personaggio nel costruire una fantasia studiata a tavolino e dove, viceversa, inizi il for real non è semplice ma questo è indubbiamente un disco dal fascino nettissimo che contribuisce a ridefinire la tradizione country e che piacerebbe da pazzi a David Lynch.

Tracce chiave: "Dead Of Night", " Turn To Hate", "Queen Of The Rodeo".

Carico i commenti...  con calma