Oscar Peterson è morto il 24 Dicembre, all'età di 82 anni, a causa di una grave insufficienza renale.
Il pianista canadese era uno degli ultimi grandi jazzisti del passato ancora in vita. Uno di quelli che assistette alla nascita e all'evoluzione del jazz moderno, e che contribuì a costruire un vero e proprio vocabolario espressivo. Stilista per eccellenza, cesellatore per antonomasia del suono pianistico, fu uno dei maggiori responsabili dell'affermazione universale e duratura del piano trio come organico strumentale, inizialmente con chitarra e basso, e poi con basso e batteria.
Le sue esperienze e collaborazioni in ambito musicale sono tanto vaste quanto una carriera durata più di mezzo secolo e cominciata negli anni '40 può permettere. La sua tecnica magistrale fu ispirata da Art Tatum, ed il suo gusto, il suo approccio sempre garbato avevano molto in comune col pianismo di Nat "King" Cole.
Ma una volta formato il suo stile, divenne maestro di se stesso. Immobile nel tempo, cristallizato nella purezza del suo suono, si specializzò in un repertorio assolutamente mainstream, in cui sia le ballad sia i pezzi più veloci erano sempre trattati con grande rispetto, con amore. Il materiale di partenza non era mai fine a se stesso per Peterson; non rappresentava un pretesto, un "veicolo" per l'esercizio dell'improvvisazione. Al contrario, le grandi canzoni dei songwriter americani erano parte integrante del suo credo estetico, ed è per questo che nelle sue improvvisazioni non avviene mai uno stravolgimento del brano, né melodicamente, né armonicamente, né tramite inserimento di difficoltà metriche particolari. Quello che avviene è invece un grande divertimento nel giocare con le dita, nel farle correre velocissime e leggere sulla tastiera, mai una nota fuori posto, senza usare dissonanze; e poi il gioco delle dinamiche, un gioco che gli riusciva quasi troppo facile.. tutto nella musica di Peterson filava sempre liscio come l'olio. Nessuna tensione, nessuna ricerca, nessun rischio. Tutto era rilassato e sotto controllo.
Proprio per questa (apparente) facilità, per il suo virtuosismo, e per l'utilizzo ricorrente di alcune figurazioni ornamentali, Peterson fu spesso attaccato dalla critica e bollato come pianista dalle dita veloci e dalla testa vuota, un superficiale, quasi un "pianista da cocktail". Naturalmente la verità è altrove; se non si può affermare che Peterson fosse un genio del suo strumento, ritengo corretto affermare almeno che ne fu uno dei più grandi professionisti, e che la sua grande abilità, unita alla forza comunicativa e alla sua simpatia, lo rese un divulgatore. Grazie a quelli come Peterson, il jazz fu "popolarizzato" molto, vincendo i preconcetti di chi immaginava questa musica come qualcosa di incomprensibile, poco melodico e noioso.
La discografia di Peterson è vastissima, tutta di livello almeno discreto, ma abbastanza omogenea, senza grandi capolavori, come tipicamente accade a questo genere di musicisti.
Questo album è forse il disco di Peterson più gradevole e divertente che abbia mai ascoltato. Il titolo, "The Way I Really Play", parla da solo! Qui c'è la quint'essenza di Oscar: swing e classe a profusione, articolazione cristallina, delicatezza nelle ballad.
L'album, del '67, è il Volume 3 di una serie di 6 cd acquistabili anche singolarmente che compongono il cofanetto "Exclusively For My Friends", edito dall'etichetta tedesca MPS (Most Perfect Sound), e splendidamente registrato da Hans Georg Brunner-Schwer. Le circostanze di queste registrazioni sono particolari: si trattava di concerti privati per una piccola cerchia di amici (da cui il titolo del cofanetto), tenuti proprio a casa del nostro Hans. L'idea era molto semplice ma efficace: ottenere l'eccitazione e l'energia tipiche delle esibizioni dal vivo di Oscar, ma senza il rumore distraente di un locale affollato, e soprattutto con una qualità di registrazione che finalmente rendesse giustizia alle raffinatezze timbriche e dinamiche di Oscar, sempre frustrato dalla resa delle registrazioni "normali". Il risultato è esplosivo, ed avere il disco nel lettore è la cosa più simile ad essere veramente di fronte al suo Steinway.
La grande sorpresa del disco è il batterista Bob Durham, poco conosciuto quanto straordinario. L'assolo e gli scambi che esegue in "Waltzing Is Hip" sono fenomenali, ma la sua performance è rimarchevole in tutto il disco. Meno in evidenza il bassista Sam Jones, il quale comunque è sempre più che dignitoso nel suo accompagnamento di tipo tradizionale.
Al centro dell'attenzione comunque c'è ovviamente Peterson, che regala momenti di grande feeling e maestria strumentale nelle sue "Sandy's Blues" e "Noreen's Nocturne", e di pura bellezza nelle ballad presenti: "Satin Doll" di Duke Ellington; "Love Is Here To Stay", in cui si omaggia sia Gershwin sia il maestro Art Tatum (il cui stile pianistico viene volontariamente imitato nell'intro); e "Alice In Wonderland", il tema preso dal classico della Disney reso celebre in ambito jazzistico da Bill Evans.
In definitiva, un bellissimo disco, non un capolavoro, ma qualcosa di adatto a tutti i gusti, di assolutamente comunicativo. Ascolto non impegnativo e gratificante, perfetto per quando si è stanchi morti e Cecil Taylor può essere il colpo di grazia. Consigliatissimo anche il Volume 1 della serie, "Action", con Ray Brown e Ed Thigpen.
Riposa in pace Oscar, e salutaci gli altri. Non siete dimenticati!
P.S.: Ho acquistato questo cd in quel di Praga, il giorno stesso della sua morte, e la coincidenza mi ha davvero spiazzato...
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