Per tutti gli amanti del prog metal, l'uscita di "Fire make thunder" era una delle più interessanti e attese di questo 2012: il side project OSI è cresciuto giorno dopo giorno, attirando fans, convincendo gli opinionisti musicali, sfornando notevoli episodi di prog metal atipico, elettronico, "diverso" rispetto alle band di riferimento.
E' bene innanzitutto fare un passo indietro e ripercorrere le tappe che hanno portato alla nascita di questa creatura, alla cui base ci sono due musicisti: Kevin Moore già famoso per essere stato il tastierista dei Dream Theater e dei Fates Warning, e Jim Matheos chitarrista e leader dei Fates Warning. Un'avventura iniziata nel 2003 con il debutto "Office of strategic influence" (che sta anche per il nome della band) con la collaborazione di un drummer del calibro di Mike Portnoy, presente anche nello splendido "Free" (2006) prima di abbandonare per lasciare il posto a Gavin Harrison. Con lui, Matheos e Moore hanno creato "Blood" (2009), l'episodio più oscuro e controverso della loro discografia. A distanza di tre anni da quella pubblicazione, il progetto OSI ha sfornato "Fire make thunder", quarto disco in studio, il primo curato dalla Metal Blade Records.
Cosa c'è in questo nuovo e atteso lavoro? Difficile dirlo con precisione, se non tirando in ballo la solita frase che si utilizza per gli album maggiormente complessi, cioè "è un disco che necessita di più ascolti". Ed è proprio così per FMT, nonostante si possa capire già dopo il primo ascolto, come questo sia probabilmente il capitolo più assimilabile dal punto di vista compositivo. Sarà stato il cambio di label, sarà che il duo Matheos/Moore sta tentando un nuovo "approccio" alla materia, fatto sta che FMT risulta un cd più fiacco del solito, avvitato su stesso e con meno spunti interessanti rispetto al passato.
L'apertura è affidata a "Cold call", discreto pezzo di prog/electronic metal, in cui si prende la scena la chitarra di Matheos, in passato mai così aggressiva. Più convincente la seguente "Guards", più diretta, con l'inconfondibile suono "metropolitano" degli OSI che torna a galla. La voce monoespressiva di Moore ben si adatta alle grigie atmosfere del combo. Dopo un inizio stranamente prepotente, il tono generale torna ad abbassarsi, prima nell'ipnotica ballata "Indian curse" e poi nella più riuscita "Wind won't howl", esempio del metal urbano degli OSI. Giusto il tempo di strizzare l'occhio alla scena industrial/darkwave con "Big chief II", che sopraggiunge la finale "Invisible men", classico pezzo prog dalle molteplici sfaccettature, in cui le leggere frizioni elettroniche si accompagnano ad improvvisi slanci metallici, sempre ben dominati dalla voce di Moore.
Globalmente "Fire make thunder" è un lavoro che si guadagna la giusta sufficienza, ma diversi ascolti non bastano per spazzare via del tutto le ombre del cd: meno spontaneo dei primi tre dischi degli OSI, quest'ultima fatica sembra fin troppo "costruita" e più volte da l'impressione di essere un po' troppo manieristica ("Indian curse", "For nothing"). Il tono complessivo del cd è quello di un lavoro che tenta di ripercorrere le gesta delle opere passate, senza raggiungere le soluzioni che avevano contribuito a rendere "Free" e "Blood" dei dischi pienamente riusciti.
La classe c'è e si sente, ma questa volta sono venute a scarseggiare le idee.
1. "Cold Call" (7:10)
2. "Guards" (5:03)
3. "Indian Curse" (4:43)
4. "Enemy Prayer" (4:54)
5. "Wind Won't Howl" (5:05)
6. "Big Chief II" (3:04)
7. "For Nothing" (3:19)
8. "Invisible Men" (9:54)
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