Nati dalle ceneri degli Strenght Through Joy, gli Ostara si emancipano dalle sonorità tipicamente neo-folk che hanno caratterizzato il passato per volare leggiadri nell'empireo di un elegante ed ispirato pop/rock d'autore.

Per chi non lo sapesse, gli Strenght Through Joy erano la band di Timothy Jenn e Richard Leviathan, personaggio che abbiamo visto a più riprese collaborare con il guru del folk apocalittico Douglas Pearce (da ricordare la comparsata nel progetto Scorpion Wind e soprattutto la stesura a quattro mani dell'album "Kapo!" degli stessi Death in June).

Fra i più fedeli discepoli dell'estetica pearciana, Jenn e Leviathan decidono nel 2000 di cambiare pelle dando vita agli Ostara e licenziando il buon debutto "Secret Homeland", a cui segue, dopo appena due anni, questo "Kingdom Gone", a mio parere il loro lavoro di maggior pregio (in seguito Jenn abbandonerà il progetto, lasciando solo al timone Leviathan, che con "Ultimate Thule" inaugurerà la non del tutto convincente svolta elettrica della band, orientata oramai verso una formula più tipicamente rock).

I legami con la Morte in Giugno, ancora prepotentemente presenti nella musica degli Strenght Through Joy, vengono qui recisi di brutto; non fatevi quindi spaventare da copertina e titolo: "The Kingdom Gone" è una pregevole raccolta di folk-ballad fintamente frivole, perché se in effetti il linguaggio parlato è quello del pop, il concept lirico che sta dietro ai pezzi mantiene la profondità tematica proprio della formazione precedente, mentre fra i solchi di una musica scorrevole e di facile ascolto, sono rinvenibili una raffinata ricerca melodica e una scrittura sempre ispirata che difficilmente incontriamo nel genere.    

Il passato apocalittico riemerge qua e là negli umori di certe ballate (in particolare le bellissime "Life's Simmetry" e "Transylvania"), negli evocativi intermezzi sinfonici e nelle tracce industriali (la marziale "March of the Rising Sun", per esempio, o la cupa title-track, posta inquietantemente in coda all'album) che via via sono chiamate a spezzare il flusso melodico, che senza questi episodi finirebbe probabilmente per stuccare l'ascoltatore più truce.

A predominare, tuttavia, sono gli umori di un folk-rock aereo e cristallino, sognante ed a tratti romantico, che prende le distanze dalla stessa dark-wave per sconfinare in sonorità che non sfigurerebbero in album dei R.E.M. come "Out of Time" ed "Automatic for the People".

Fa tanto la voce pulita e sbarazzina di Leviathan, in netto contrasto con le tematiche affrontate (mitologia, esoterismo, filosofia e letteratura si abbracciano nella consueta critica alla mediocrità del presente, come accade in ogni album di folk apocalittico che si rispetti).

Si parte subito in quinta con "Bavaria", pezzo ad alto appeal commerciale, che diverrà forse quello più amato dai fan ed uno dei brani-simbolo del repertorio degli Ostara.

Gli undici episodi che seguono non sono certo da meno: raffinati esempi di folk/rock stra-orecchiabile dal ritornello sempre vincente e mai banale. Ad impreziosire il tutto troveremo via via archi, flauti, pianoforte e tastiere perfettamente incastonati nel mood acustico che domina l'album (da segnalare senz'altro "The Trees March North" e "Sword of Reverie", altri classici del gruppo).

L'apporto ritmico non è affatto secondario nell'economia del sound: fra i vari guest alle percussioni, da sottolineare la presenza in "Never Weep" del prezzemolino John Murphy (già assiduo collaboratore di Pearce e presenza fissa nei tour recenti della Morte in Giugno): un pezzo che finisce per ricordare il prog bucolico dei Caravan di "In the Land of Grey and Pink."

Una traccia particolarmente stronza, ma che finisce per rivelarsi irresistibilmente simpatica, è la divertente "Tatenokai", parentesi di elettronica non-sense dove il verso "Tatenokai...Tatenokai...Banzai! Banzai!" viene ripetuto su una minimale base dance-floor: un brano che in maniera intelligente e per niente fuori luogo amplia ulteriormente lo spettro sonoro adottato dal duo inglese.    

Un ascolto, questo "Kingdom Gone", paradossalmente sconsigliato agli irriducibili del folk apocalittico (che probabilmente pretendono atmosfere maggiormente tese e caustiche), e suggerito piuttosto a tutti gli amanti di quella buona musica che sa essere profonda senza voler rinunciare alla scorrevolezza ed alle melodie di facile presa.

Tatenokai...Tatenokai...Banzai! Banzai!

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