Inscritto nell'orbita di una multimedialità-multimodalità espressiva trasversale alle forme dell'arte plastica, della scrittura e della musica leggera il progetto Ottodix del poliedrico artista, musicista e cantante Alessandro Zannier sta infine affermandosi come uno dei più luminosi segmenti della skyline pop del Belpaese.
Effetto glocal: se da un lato è evidente l'organica inscrizione nella scena electro-new wave-post-punk gravitante intorno al capoluogo veneto dagli anni ’70 ai 2000 (da pionieri come Treviso.Underground, Domus Tedi, Scent Merci, sino a Templebeat) dall'altro la scelta del cantato in madrelingua ha permesso al trio di ri-collocare la propria proposta nel contesto allargato della canzone made in Italy proiettandone la fruibilità al limite dei confini nazionali.

Gli Ottodix peraltro costutuiscono un unicum quasi-midstream: sin dagli esordi tentarono una rielaborazione originale di sonorità electropop innestate nel tronco new wave primigenio muovendosi entro un perimetro stilistico definito da Bowie, Bjork, Massive Attack.

Coevi (ma non per questo tributari di influenze) di ben più note bands come Bluvertigo e SubsOnicA, gli Ottodix qui scrivono un capitolo decisivo del loro percorso.
Prodotto dalla Discipline di Garbo e Luca Urbani (Soerba, Deleyva, Zerouno, Fluon…), l'album in oggetto riafferma l'attitudine all'inquadramento tematico in chiave concept delle ultime opere: come già accaduto con "Le Notti di Oz" (2009) e "Robosapiens" (2011), in questo quinto album il framework concettuale risulta fluidamente centrato sul fallimento delle utopie del XX secolo,
in cui sinistre premonizioni di scenari post-apocalittici ne accompagnano parabolicamente l'implosione, ma in maniera compenetrata, anche spostato sulla fascinazione ineluttabile per le stesse irrealizzabili entità utopiche, ibride in quanto animate da identità multicentriche per definizione: questo l'epicentro tematico di "Chimera".
Da qui il racconto musicale si snoda per quadri sequenziali in cui le citazioni letterarie e storiografiche delineano la densissima cifra poetica del disco: dal Ray Bradbury di Farenheit 451 ("Apocalisse"), al fisico ed ingegnere elettrico Nikola Tesla ("Gli Archivi di Tesla"),
ai più trasparenti sogni utopici di "Napoleone" e del Cervantès di "Mulini a Vento".
Echi di Martin Gore in accorata declinazione soul sono rintracciabili nel cantato suadente di Alessandro Zannier che teatralizzando la concettualità narratologica
del percorso tematico di "Chimera" incontra i blocchi ritmico-sinfonici creati dalle percussioni di Mauro Franceschini e dai tocchi chitarristici di Antonio Massari.

Un pattern strutturale riconoscibilmente Depeche Mode ma ora costretto in scenari più angusti e sincopati ("Chimera Meccanica a Vapore", "Ucronìa") ora dilatato in più ampi orizzonti, perturbati da clangori industrial spettrali alla Einsturzende Neubauten e NIN: la citata traccia strumentale
"Gli Archivi di Tesla", ma anche la splendidamente lirica "L'Ultima Chiesa", in cui le volute melodiche alla Baustelle si fondono con
tocchi percussivi gelidi quasi sinistramente automatici dando vita ad uno dei gioielli più intensi (e chimericamente "ibridi") dell'intera collezione.
L'altro, è sicuramente la spoglia, onirica e sottilmente inquietante "Le Città Immaginarie" che svela al termine dell’album l'intima matrice cantautorale dello stile compositivo di Ottodix: una forma-canzone colta e sofisticata che viene di volta in volta rivestita da strati di synth-pop e new wave con echi di Ultravox e Japan, quando non viene evocata addirittura l'inattingibile icona David Bowie.
Le Utopie, nella loro tragica realizzazione massificata, vengono (attraverso i 15 fluidi momenti del disco) sovvertite proprio nel disvelamento della loro oscura infondatezza
storiogafica, lasciando tuttavia un vuoto inquietante che dopo gli -ismi drammatici della Storia cede la scena a ciò che per contrapposizione verrà dopo, in un tempo
successivo, e però ancor più inutilmente celebrativo dell'ennesimo già visto: "Post", singolo apripista è il pezzo più potentemente evocativo della consapevolezza storicizzante dell’intera operazione, ed anche la più nitida chiave di lettura di questo progetto: ambiziosissimo, e riuscito.

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