Strano che i cinesi siano dappertutto come il prezzemolo ma non si siano imposti nella scena musicale internazionale. Allo stesso modo in cui fa strano che con una popolazione a 10 cifre non riescano a trovare calciatori validi per creare una nazionale di calcio forte, mentre alle olimpiadi svettano sempre nel medagliere. Scherzi a parte è la prima volta che mi interesso ad una band cinese, trattasi dei “progmetaller” OU (e adesso vedremo perché ho usato le virgolette).
Il loro stile di base è abbastanza in linea con quello dei trascorsi recenti del genere prog-metal, inevitabilmente intrappolato nel suo delirio djent ma in fondo non così esplicitamente, incastonato fra le immancabili 8 corde ben affilate e sempre piuttosto lontano dalle melodie struggenti del suo periodo di grazia anni ’90 e 2000.
Detto così non sembrerebbe ormai più nulla di originale, visto che l’andazzo dell’ultimo decennio è quello, ma qualcosa qui mi ha catturato. Sicuramente il cantato in cinese è già qualcosa di originale, di non convenzionale (sebbene i titoli siano in inglese per una maggiore fruibilità internazionale), e qualche melodia con inflessione orientale la troviamo senz’altro, si tratta comunque di un’inflessione leggera e impercettibile, sostanzialmente limitata al cantato (la voce è femminile e questo accentua il tutto), non al punto di poter parlare di un prodotto etnico; per fare un paragone illustre, il vento delle terre di provenienza si respira assai di più nei Myrath, per dire. Fa strano poi sentire che il cinese mandarino venga adottato addirittura dal superospite Devin Townsend, che nel brano “Purge” prova addirittura ad utilizzarlo in uno scream non troppo pronunciato.
A catturarmi davvero tuttavia sono state altre caratteristiche. Una su tutte il fatto che la loro musica è prog-metal solo a metà, classificarli nel genere è corretto solo in parte, dato che della tracklist solo metà del materiale rientra nel genere, forse anche meno, discorso che vale per questo secondo album tanto quanto per il primo. L’altra metà invece propone qualcosa di ben diverso, sconfinando nell’ambient, nella new age più rilassante, nell’elettronica a volte più spregiudicata a volte più minimalista, influenze che comunque non risparmiano le tracce più metal. In pratica gli OU si pongono come esponenti di un genere senza esserlo davvero, come se si giocassero la carta di un genere che nutre un certo seguito per introdurre gli adepti in un mondo ben più ampio. La cosa sembra alquanto eccitante, affascinante.
Le tracce indubbiamente prog-metal sono l’opener “Frailty”, la frastornante “Purge”, quella dove l’energia metal si manifesta alla più alta potenza, “yyds”, dove la tecnica tipica del genere si palesa al meglio alternandosi però con un’intelligente elettronica; già qualche dubbio sorge circa “Spirit Broken”, che offre sì riff cattivi ma è maggiormente focalizzata su temi rilassanti ed evocativi.
Il resto è tutt’altro. “Ocean” usa le tecniche prog-metal (e qualche parte più dura la conserva) ma le applica per creare un pezzo di musica elettronica caotica e volutamente disordinata, è assolutamente geniale per come è concepita. “Redemption” è piuttosto rilassante e poggia su soffici tocchi di chitarra e linee vocali. “Capture and Elongate (Serenity)” invece propone un’elettronica più ipnotica e futuristica, poggiandosi su percussioni elettroniche ben più ordinate. Con “Reborn” si torna su atmosfere rilassatissime, sempre vagamente new age, con l’elettronica che stavolta si fa più minimalista e notturna. La conclusiva “Recall” è un piacevole caos di suoni e contrappunti vocali di atmosfera orientale, un ossimoro musicale ben riuscito che suggella la genialità di questo misconosciuto gruppo.
La cosa sorprendente è che le cose complessivamente più convincenti sono proprio quelle distanti dal metal, gli OU funzionano meglio come band ambient e new age che come band prog-metal. Come band prog-metal, pur realizzando brani di ottima fattura, non colpiscono appieno nel segno, non risultano così affilati e cazzuti come dovrebbero, probabilmente perché non suffragati da una produzione all’altezza. Nei commenti in un forum qualcuno faceva notare che il sound è eccessivamente piatto e compresso, privo di grosse dinamiche sonore e in linea con le mode del momento, scelta che finisce per penalizzare il risultato finale.
In ogni caso questi cinesi sono davvero una bella sorpresa, “Frailty” è uno dei dischi del 2024 che più mi ha colpito e sorpreso e si è guadagnato un posto piuttosto alto nella mia personale graduatoria finale. Assolutamente consigliati! Ovviamente è doveroso recuperare anche il primo album “one”, del quale segue lo stesso paradigma, del quale si potrebbe tranquillamente copiare una recensione e riadattarla per questo album.
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