Concludo questa fase di recensioni con, a mio parere, il miglior disco del 2014, ovviamente fino alla data odierna cioè il 9 novembre 2014. Oggi è un giorno speciale, 25 anni fa è caduto il muro di Berlino, si sentiva aria di cambiamento, di un mondo equilibrato, di un futuro radioso. La musica dei primi anni 90 non rappresentava per nulla i sentimenti che hanno portato le 2 Germanie ad unirsi. Dopo 25 anni posso dirmi soddisfatto della mia vita? Sono nato nel 1989 ed ogni volta mi sento dire che sono nato in un anno importante, che posso dire di non aver mai vissuto una guerra fredda e il timore di essere spazzato via in ogni istante, che non ho vissuto con terrore gli anni di piombo dove la nostra politica sembrava costantemente in mano a neri, rossi e soprattutto mafie. Ma cos'è cambiato veramente? L'Europa unita è un miraggio, la crisi del 2008 sta affossando i nostri risparmi e le nostre speranze, le prove di forza di Putin e la crisi in Medio Oriente sono un minaccia alla stabilità mondiale. Io, personalmente, non vedo un futuro per me, per questa nazione e per questo mondo.

Rifugiarmi nella musica mi libera, qualche volta, da questi pensieri. Le droghe leggere non sono efficaci, annebbiano solamente la mente e con contorti passaggi premono sulla ferita aperta e ti mandano in paranoia. Gli Ought sono canadesi e sanno cosa vogliono, forse, non vedono un futuro ma sanno cosa gli piace fare. Anch'io so cosa mi piace fare: mi piace suonare, cantare, fare musica, condividerla e poi notare attraverso il web 2.0 che non viene nemmeno notata, fattore rilevante della mia autostima.

Gli Ought sono i Talking Heads, gli Slint, i Velvet Underground, i Pavement, riescono a stupire e a stupirsi. Ho trovato il disco superlativo, in 8 pezzi c'è una storia della musica moderna, (non tutta, ma una buona fetta) della rivoluzione e dell'involuzione tutto in formato LP. Deludono in certi passaggi ma mai abbastanza da farti storcere il naso, non si prendono sul serio e nonostante questo continuano a migliorarsi e a personalizzare il proprio sound. Non mi piace parlare delle canzoni e nemmeno questa volta lo farò, ma amplierò la mia recensione con un mini-brainstorming del Live di ieri sera al Covo Club di Bologna:

Il cantante-chitarrista è completamente fuso, ogni tanto la sua voce sembrava un gemito durante un amplesso, le sue movenze androgine marcavano la sua alta statura e la sua magra forma, la canottiera bianca era un pugno in un occhio e la sua faccia ricordava Jarvis Cocker. Il tastierista era completamente invasato, batteva sui tasti come una puttana in Pontebbana (o sul raccordo anulare, vedete voi dove), con i clienti che non le lasciano tregua un istante. Il bassista era "scomodo", teneva il basso in una posizione assolutamente improbabile, ma quanto non faceva figo? Lo stupore maggiore è stato in "forgivness", quando il batterista ha preso in mano il suo violino elettrico e continuava a suonare charleston e grancassa e poi tenendo con una mano il violino orientato verso l'amplificatore per mandarlo in feedback, con l'altra percuoteva rullante e Tom, speciale. Le canzoni sono state nervose e celestiali, il Covo non ha un'acustica delle migliori ma si è sentita tutta l'energia del quartetto.

Forse il futuro non è roseo, ma il grigio a me piace un sacco.

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